Il libro della settimana

giovedì 14 settembre 2023

Incidenti sul lavoro – di Michele Di Lieto

 


La strage del 30 di agosto, cinque operai travolti da un treno di servizio mentre sostituivano i binari nei pressi della stazione di Brandizzo (Torino), ha ricordato a più d’uno la strage della Thyssen, colosso della industria tedesca specializzata nella produzione di ferro e acciaio, avvenuta il sei dicembre 2007, con sette operai arsi vivi nel rogo dello stabilimento di Torino. Sarà che entrambe le sciagure si sono verificate nel capoluogo piemontese; sarà che le due stragi hanno suscitato eguale clamore mediatico; sarà che nel primo processo, quello della Thissen, è stata prospettata per la prima volta la ipotesi del dolo eventuale (delitto doloso anziché colposo: contestata solo all’amministratore delegato della società germanica e accolta dalla Corte di Assise ma solo in primo grado); qui, a Brandizzo ribadita, almeno nei primi passi dell’indagine, dagli inquirenti  torinesi; sarà qualche altro motivo che mi sfugge, certa cosa è che ad ogni infortunio di grave entità, come per la Thyssen e come per Brandizzo, si susseguono a velocità sostenuta le manifestazioni (di cordoglio), le assicurazioni (per il futuro), le promesse (di intervento), le offerte di risarcimento da parte delle società assicuratrici (che non mancano mai e sono tutte, tranne quest’ultima, destinate a rimanere lettera morta). E provengono da tutte le parti politiche, ad ogni livello istituzionale. Dal Presidente della Repubblica al Papa, dal Presidente del Consiglio alle alte cariche dello Stato. Frattanto, non cessano quelle che chiamano morti bianche e che io continuo a chiamare rosse dal sangue degli innocenti. Il numero è impressionante. Pensate. Dalla strage di Brandizzo tredici morti sul lavoro (compresi i morti alla stazione): tredici morti in sette giorni. Dall’edile all’imbianchino, dal manovale al tecnico della funivia: tutti morti sul lavoro, l’uno folgorato, l’altro arso vivo, l’uno precipitato, l’altro schiacciato, l’altro ancora travolto (dal cestello dell’autogru che si è staccato dal gancio e lo ha ucciso). Indifferente è l’età: muoiono giovani e vecchi, e in qualsiasi parte d’Italia, da Corato a Viterbo, da Brescia a Caserta. Le reazioni sono tutte ex post: successive. Mentre qui occorre attività di prevenzione, occorrono controlli affidati a gente esperta, non necessariamente severa, capace: ma il controllo deve essere fatto prima, dopo non serve che a piangere il morto. Le reazioni accompagnano l’incidente, purché sia grave: e la gravità dipende dal numero delle vittime o, più raramente, dalla notorietà della vittima o dalla natura dell’incidente. E neanche questo mi sembra giusto. Perché la morte è morte, eguale per tutti, morte da lavoro, le vittime non fanno differenza e, che io ricordi, l’unica vittima, sola ma accompagnata dal coro dei mass media, risale al 2021, al 3 di maggio 2021, quando la giovane Luana D’Orazio, ventidue anni, è rimasta inghiottita dall’orditoio (macchina che prepara l’ordito) nella fabbrica tessile in cui lavorava. Sarà stata la giovane età, sarà stato che era mamma da poco, sarà stato che era bella (e come si fa a non essere belle a ventidue anni), certo è che di Luana, e della sua morte, parlarono tutti, a partire da Mario Draghi, allora Presidente del Consiglio. Pure, un controllo preventivo avrebbe evitato l’incidente. Intanto perché Luana lavorava da sola come apprendista, e non ci vuole un’arca di scienza per sapere che l’apprendista ha bisogno di un tutor, soprattutto quando l’attività alla quale è addetta è oggettivamente pericolosa. Inoltre perché l’orditoio era stato manomesso e un controllo preventivo, anche sommario, avrebbe accertato se e da chi era stato manomesso, se e da chi erano state osservate le norme di sicurezza. Tutte cose che sono state accertate dopo, e avranno sicuramente orientato la condotta processuale degli imputati, due dei quali, marito e moglie, titolari della fabbrica tessile, hanno accettato di patteggiare la pena. Un esempio, uno dei tanti, che dimostra l’utilità, o la necessità di controlli preventivi per salvare vite umane. Altrettanto, mutatis mutandis, può dirsi del disastro ferroviario di Brandizzo. È avvenuto il 30 di agosto: e otto giorni sono pochi per ricostruire la dinamica dell’incidente, accertare le colpe dei singoli. Che certamente esistono, e sono in via di accertamento, se gli operai sono stati travolti dal treno mentre lavoravano sui binari senza nullaosta e col treno investitore in arrivo. Pare che non fosse la prima volta che gli operai iniziassero e continuassero a lavorare ancor prima del nulla-osta. Ma, mi chiedo, sono stati mai eseguiti controlli sui lavori di manutenzione nelle Ferrovie piemontesi? Se sì, da chi sono stati eseguiti, a chi sono stati affidati? Forse all’addetto scorta della RFI (società appaltante) attualmente indagato (e proprio per avere consentito che il lavoro iniziasse prima) insieme con Andrea Girardin, capocantiere della Sigifer, (società appaltatrice), anch’egli indagato per lo stesso disastro, ma rimasto “miracolosamente” illeso? E a che si riducono i controlli, quando la stazione appaltante sembra obbedire alla sola logica del profitto, incrementando il numero di ore, diminuendo i salari, riducendo le pause? E a chi serve questa commistione di norme, quelle sulla colpa e quelle sulla sicurezza? a che serve questa distinzione tra colpa con previsione e dolo eventuale, se viene costantemente superata a favore della prima dalla Cassazione (S.C. SS.UU. 18.9.2014 n. 38343)? Quello che pare accertato è che la manutenzione veniva affidata a gente incapace, che non si curava di violare norme elementari di sicurezza in omaggio a una prassi sconsiderata, che bene avrebbe potuto scoprire il primo ispettore del lavoro che si fosse recato sul posto. Prevenzione, prevenzione e controllo. Questa è la lezione che si trae dalla strage di Brandizzo. Il guaio è che i controlli costano, servono nuovi ispettori del lavoro. A proposito, che fine hanno fatto i duemila ispettori promessi da Draghi per potenziare i servizi di controllo: sono stati assunti o sono rimasti lettera morta? E come la mettiamo coi giovani vincitori di concorso che rinunciano in massa al posto nel pubblico impiego (dove vengono retribuiti con salari da fame) e si rivolgono al privato? Il guaio è che le finanze statali non autorizzano soverchie illusioni. Se trovi le risorse per affrontare un problema, ce ne è un altro che ne rimane privo. Occorrono esercizi di equilibrio per far quadrare i conti, per assicurare priorità alle esigenze più acute, per distribuire equamente i fondi disponibili. Gli infortuni sul lavoro, che interessano la vita delle persone, meriterebbero priorità assoluta. Se così non fosse, di ispettori del lavoro si continuerebbe inutilmente a parlare, continuerebbero a disertare i giovani vincitori di concorso per rivolgersi al privato o migrare all’estero. Altre alternative non ne vedo.

 

Michele Di Lieto

micheledilieto2@tiscali.it

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