Il libro della settimana

lunedì 16 ottobre 2023

Le significative analogie tra le guerre



Esistono molteplici analogie tra la guerra appena scoppiata tra Israele e Hamas, uno dei gruppi paramilitari  appartenenti alla famiglia arabo-palestinese, e la guerra scoppiata nel febbraio 2022, più di un anno fa, tra Russia e Ucraina. Entrambe nascono da un colpo violento, una “aggressione” di un popolo contro l’altro: nel primo caso, del soggetto più debole (Hamas) contro il più forte (Israele); nel secondo, del soggetto più forte (Russia) contro il più debole (Ucraina). Entrambe hanno radice in conflitti risalenti nel tempo, assai più antichi della data assegnata (ma solo per comodità) all’inizio delle ostilità:  alla fine della seconda guerra mondiale e alla creazione dello Stato di Israele (1948) la prima; al distacco dell’Ucraina e alla creazione di uno Stato autonomo (1991) nella fascia da sempre considerata parte integrante del territorio russo, la seconda. Occorre qui, per una più corretta comprensione dei fatti, fare una premessa, anzi due. La prima. Israele, da quando è stato creato lo Stato omonimo, occupa un territorio, o parte di un territorio, la Palestina, prima abitata dagli arabi: anche la parte di territorio (Cisgiordania e Striscia di Gaza) che, in un disegno spartitorio patrocinato dall’ONU, avrebbe dovuto essere assegnata ai palestinesi, veniva occupata, o parzialmente occupata dagli israeliani, colpevoli di una colonizzazione delle aree interessate, considerata illegittima dalla stessa autorità sovranazionale. Seconda. L’attacco di Hamas, che ha dato origine al conflitto appena scoppiato, ed è partito proprio dalla striscia di Gaza, è stato violento, di una violenza inaudita, con impiego di uomini e mezzi quali mai erano stati usati, ed hanno letteralmente bucato la difesa israeliana, colta impreparata, e giungendo a destinazione, fino a raggiungere Tel Aviv e Gerusalemme, al centro di Israele, oltre che la Cisgiordania, anch’essa parzialmente occupata (e colonizzata) dagli israeliani. Si sono convinti, gli occidentali, che l’attacco è stato lungamente preparato, e che i palestinesi sono oggi dotati di uomini e mezzi superiori a quelli esibiti nel corso delle guerre anteriori. Certo è che Hamas ha colpito obiettivi e fatto vittime non solo a Gaza, ma in mezza Israele, abbattendo un kibbutz dove era in corso un rave party, e dove centinaia sono stati i morti, altrettanti i giovani israeliani catturati e fatti ostaggio. A giudicare dai dossier prodotti da Israele, l’attacco di Hamas ha fatto morti tra i civili, e violenza è stata esercitata su donne e bambini. Non si fermano qui le analogie già descritte, comprese le scene di violenza, tra le due guerre, quella scatenata dalla Russia e quella scatenata da Hamas.  Entrambi, russi e palestinesi, rifiutano la qualifica di “aggressore” data comunemente a chi ha sferrato l’attacco; entrambi, palestinesi e israeliani, invocano il diritto alla legittima difesa: i primi, contro l’oppressione esercitata con tutti i mezzi, leciti e illeciti, dai più forti (gli israeliani), gli altri contro l’attacco scatenato da Hamas e dai Palestinesi. Questi ultimi, e i loro capi,  rifiutano l’appellativo di “terroristi” o “macellai islamici” (di conio più recente),  ma invocano aiuto dalle diverse etnie che compongono la stessa famiglia: il che vuol dire che anche la guerra appena scoppiata può estendersi e coinvolgere paesi terzi. È proprio questo destino comune che costituisce fonte delle maggiori preoccupazioni, essendo fondato il timore che dall’una o dall’altra guerra, o da tutte e due assieme, nasca una guerra globale, affidata ad armi ben più potenti di quelle (le prime atomiche) usate nella seconda guerra mondiale, con effetti diversi e più gravi di quelli già sperimentati sul nostro pianeta. Nel primo caso (quello russo-ucraino) la guerra locale è già degenerata in conflitto globale. Tutti sanno che dietro l’Ucraina vi sono gli Stati Uniti, che non cessano di inviare uomini e mezzi al paese aggredito. E con la partecipazione degli Stati Uniti, della Nato e dell’Unione Europea, la guerra ha assunto dimensioni più ampie di un conflitto locale. Pure nel secondo caso (israelo palestinese) la guerra si è ampliata, Israele avendo ricevuto la solidarietà di tutto l’Occidente, degli Stati Uniti per primi (1), e Hamas avendo già chiesto aiuto agli hetzbollah, in nome di una comune aspirazione, la cacciata degli invasori, occupanti ritenuti  illegittimi, dai territori palestinesi. Fatta questa duplice premessa, ne faccio un’altra, più propriamente geopolitica, che servirà a chi volesse approfondire le sue conoscenze sulla guerra israelo palestinese. Abbiamo già detto, se non qui altrove, che l’attacco è stato sferrato dai palestinesi dalla striscia di Gaza, in loro possesso, non esclusivo; che il colpo di Hamas, non previsto dagli israeliani, è stato così violento da provocare vittime e danni impensabili fino a ieri per un paese, Israele, dotato di servizi di intelligence tra i più avanzati nel mondo; che all’attacco Israele ha risposto o sta per rispondere con una controffensiva che mira alla conquista di Gaza, nella certezza che “nulla sarà più come prima”. Dunque, Gaza. Che cosa è Gaza? Gaza è una lingua di terra lunga 41 chilometri larga dieci, che si affaccia sul Mediterraneo, e confina dagli altri lati con Egitto e Israele. Senza voler fare la storia della striscia di Gaza, che vorrebbe dire ripercorrere la guerra, la serie di guerre tra israeliani e palestinesi, mi limiterò a dire che dal 2006, anno in cui ha vinto le elezioni, è proprio Hamas ad esercitare il controllo su Gaza: un controllo non esclusivo, e sempre contestato dagli israeliani, che solo l’anno prima, su pressioni della comunità internazionale, avevano accettato di ritirare i novemila coloni israeliani là insediati con finalità tutt’altro che pacifiche, le stesse esercitate dalle forze militari israeliane attive sul territorio, le stesse forze che dal 2006 in poi hanno attuato un embargo via terra e via mare su Gaza, interrompendo le forniture di acqua, elettricità e cibo, e riducendo i palestinesi alla fame (se non erano già affamati: i palestinesi sono tra i più poveri al mondo). Questo anche per notare come il recente attacco di Hamas sia solo l’ultimo episodio di una guerra fatta di soprusi e soverchierie anche da parte israeliana, e come vittime di questa guerra siano soprattutto i civili palestinesi, che hanno resistito e resistono nella striscia di Gaza, ma anche in Cisgiordania, e sono un tutt’uno con Hamas, come dimostra l’esito della battaglia elettorale. Le ragioni che hanno provocato l’attacco sono legate probabilmente al tentativo di normalizzazione dei rapporti tra Israele ed alcune nazioni, Arabia Saudita in testa. “Ma non potrebbe bastare a scatenare un simile inferno, se non ci fossero anche decenni di discriminazioni, di bombardamenti quotidiani, di ghettizzazioni nella Striscia di Gaza, di vessazioni in Cisgiordania, di colonie imposte nonostante siano state dichiarate illegali dalle Nazioni Unite, di embarghi, povertà, fame, mancanza di scuole, di elettricità, di cibo, di ospedali e medicine (Lifegate 9.10.2023)”. Questo anche per dire quanto sia complicato il compito di chi voglia stabilire chi ha ragione e chi ha torto senza considerare i precedenti (nel caso concreto: quattro conflitti fino all’attacco di Hamas) e senza valutare le dimensioni della reazione di chi invoca la legittima difesa: reazione che da che mondo è mondo deve essere proporzionata alla offesa (e nel caso concreto è giunta all’assedio di Gaza, alla minaccia di annientamento di Hassam, all’annuncio di guerra totale, alla controffensiva che ha mietuto vittime anche tra i bambini (614 finora), all’ordine di evacuazione dei civili palestinesi, più di un milione, ad evitare una ulteriore strage di innocenti, ma anche a trasformare la striscia di Gaza in una prigione “a cielo aperto”). Come si vede, ragione e torto (come nella guerra ucraina, ma qui con maggiore evidenza), non si dividono mai di netto: sarà l’esito del conflitto a stabilire chi ha ragione, ma non è detto che la ragione spetti sempre al vincitore. Per intanto occorre fermarsi a considerare le reazioni in campo internazionale, con l’occidente tutto schierato a favore di Israele (non così l’opinione pubblica degli occidentali, numerose essendo le manifestazioni in favore dei palestinesi) mentre l’Iran e gli Emirati sembrano orientati a favore di Hassam. Non sono cessati i tentativi di mettere pace. Il Ministro degli esteri russo ha dichiarato inaccettabile l’attacco di Hamas, inaccettabile la reazione israeliana, inaccettabile la morte di civili, vecchi, donne e bambini: belle parole, sulle quali potremmo essere tutti di accordo, ma, allo stato delle cose, non sembrano preludere a un cessate il fuoco e a favorire una trattativa. Il conflitto è appena agli inizi. La controffensiva israeliana non si è ancora compiuta. È difficile fare previsioni. Che cosa succederà dopo l’attacco di Hammas? Che cosa dopo la controffensiva israeliana? Una guerra, e non c’è dubbio che siamo di fronte a una guerra, può finire in due modi: con la resa di una delle parti oppure con un accordo di pace. L’accordo si presenta allo stato assai difficile da realizzare. Ciò nonostante deve essere tentato. E però la comunità internazionale deve ammettere con la stessa fermezza con la quale, giustamente, condanna le uccisioni di innocenti da parte di Hamas, che una nazione che crea, ammette e perpetua ciò che accade nella Striscia di Gaza, una vera e propria apartheid (con la prospettiva di un genocidio dei palestinesi),  non può essere considerata compiutamente democratica. Per lo meno, “è una democrazia agonizzante”. E noi vogliamo che Israele diventi una democrazia compiuta. Un accordo di pace, fondato sul riconoscimento dei propri torti, potrebbe essere il primo passo per Israele verso una democrazia compiuta. Ma potrebbe anche essere per i palestinesi un primo passo verso l’abbandono di ogni violenza. Sarebbe un primo passo anche per noi per stare in pace con le nostre coscienze. 

1) L’ultima analogia nasce (per ora) dalle dichiarazioni di Biden, Presidente degli Stati Uniti. Per il primo conflitto (Russia vs Ucraina) Biden ha assicurato il suo appoggio all’Ucraina “fino a che sarà necessario”: il che vuol dire “fino alla resa di Putin”. Per il secondo (Hamas vs Israele) Biden ha ribadito il suo “incrollabile sostegno” allo Stato di Israele: il che vuol dire: “fino alla resa di Hamas.  È inutile aggiungere che, a seguire Biden, è tutto l’Occidente: nel primo caso contro la Russia; nel secondo pure, tutto l’Occidente contro Hamas in favore di Israele. Sia l’Ucraina che Israele sono nati con la benedizione degli USA: il che spiega le assicurazioni di Biden all’uno e all’altro Paese. 

(Michele Di Lieto)

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