Il libro della settimana

giovedì 22 agosto 2019

Luciana Capo e "Sulla battigia" di Antonio Cervelli





Ecco la recensione che la Professoressa Luciana Capo ha scritto in occasione della presentazione della raccolta “Sulla battigia – Canto Lungo” di Antonio Cervelli, Edizioni “L’ArgoLibro”, presso Villa Sgrò ad Agropoli lo scorso sabato 17 agosto.
Grazie ancora di cuore a tutti gli intervenuti!
Qui trovate la pagina dedicata alla raccolta.


Il linguaggio che meglio rivela la natura della produzione di Antonio Cervelli, già professore di Latino e Greco presso il prestigioso Liceo “Umberto I” di Napoli,  e che più di ogni altro sconfessa la concezione tradizionale del linguaggio come semplice segno, è la Poesia.
Heidegger osserva  che, come l’Arte è apertura di un mondo, così il linguaggio poetico non è segno che rinvia a qualcosa che è  già dato, ma è il luogo in cui l’Essere si dà.
La parola poetica è un cominciamento assoluto, è l’aprirsi di un mondo, in cui qualcosa di nuovo viene all’Essere come “aureo albero delle Grazie”, come “nuda sofferenza dell’uomo! Colui che ha lottato con gli angeli”.
Scrive Heidegger: “Aperto significa qualcosa che non sbarra chiudendo; qualcosa che non limita perché è  privo di ogni limite. L’aperto è il grande insieme, il tutto di ciò che è senza limiti.” (“Sentieri interrotti”).
Il filosofo propone l’esercizio Ermeneutico  che si trattiene presso la parola, non per esplicitarla nei sensi e nei significati richiesti dall’epoca, ma per far venire alla luce il non- detto che nella parola risuona e che ne costituisce la forza.
Questa Ermeneutica non spiega la parola, l’ascolta. L’espressione Ermeneutico deriva dal verbo greco hermeneùein. Questo si collega col sostantivo hermeneùs, che si può connettere col nome del dio Ermês in un gioco del pensiero che  è più vincolante del rigore della scienza. Ermês è il messaggero degli dei: reca il messaggio del destino. Hermeneùein, pertanto, è quell’esporre che reca un annuncio in quanto è in grado di ascoltare un messaggio.
La colpa originaria della libertà nascente è a un tempo la colpa della violenza divina. Alla violenza dell’uomo, che si erge nella sfida, si accompagna quella dell’Essere che si esprime nell’abbandono dell’uomo.
Realizzandosi nella liberazione dell’Essere (Adamo) o nel suo dominio (Prometeo), l’uomo si rende colpevole perché capovolge quel rapporto metafisico originario che prevede l’Essere come dominante  e l’uomo come custode di questo dominio.
Di questo capovolgimento ha coscienza la tragedia greca che con Sofocle giunge a dire: “Molte sono le cose inquietanti (Deinà) ma nessuna più dell’uomo (Deinòteros) (Antigone).
Le poesie di Antonio Cervelli hanno un potere senza tempo e si segnano negli occhi come una inquadratura perenne dove bellezza e ordine parlano in una visione verticale del mondo.
Il suo pensiero è libero, non corrotto dall’emotività o esaltato dall’entusiasmo. Questa poesia colta gioca con il mondo, rompe la trama perché si sottrae al principio di Individuazione, la coscienza si fa assoluta e diventa volontà di vita.
In un tempo di carenza, come il nostro, in cui la vastità degli orizzonti raggiunti dalla scienza ha finito per devastare l’animo dell’uomo e la grande lezione della poesia di Antonio Cervelli non è quella  di sollecitare l’orgoglio del pensiero nella successione frenetica delle risposte, ma quella di custodire il pensiero nella sua essenzialità, raccolta in quel domandare che sa attendere non una risposta ma un ampliamento dell’orizzonte: un chiamare i mortali e i divini, la terra e il cielo.
Di questo dire sono capaci i poeti che ascoltano la parola, il dialogo e con esso si apre “l’aperto” e si parla del “Sacro”.
La poesia di Antonio è Via e Smarrimento…, luce indomita e graffiante sui rapporti interpersonali e sull’immagine di sé.
È un iter, quello dello scrittore, verso la conoscenza dell’anima dove echi, suoni, ricordi diventano la voce delle emozioni più intense e pure.
È l’amore per la moglie Lucia, canto immortale dedicato a lei, è il tempo avvolgente, stretto tra memoria e oblio.
Si avverte il culto di un’ascesa spirituale che è l’essenza della vita avvolta nella forza fascinatrice e tirannica del suo segreto, sempre indagato, dove anche il dolore è libero e dove , in ogni verso, si cela il battito dell’amore.
È il suo un Amore senza rive.
Lo scrittore colpisce perché, come tutti i grandi scrittori,  dice le sue preziose verità e riesce a bilanciare pulsioni narrative anche inconciliabili, in apologhi crudeli e meravigliosi.
Il tempo che si percepisce è il vero Tempo Perduto, il tempo delle grandi solitudini e delle domande infinite, delle parole che segnano una vita.
Prometeo si rese colpevole perché portò coscienza e sapere agli uomini abbandonati, che Zeus voleva mandare in rovina.
Antonio Cervelli ha trovato il senso della propria origine nella ribellione di Prometeo che, anche se incatenato alla roccia, non viene meno a se stesso, ma è capace di una voce d’accusa, la rivendicazione del sapere, che fa dell’uomo, un uomo e che gli offre tutte le possibilità connesse al suo futuro.
E le tante figure poste sotto la lente d’ingrandimento di un grande scrittore sono colpevoli di voler credere nella vita e consapevoli del libero arbitrio.
Il quadro di Masaccio, nella Cappella Brancacci a Santa Maria del Carmine a Firenze del 1426, esprime  l’angoscia di Adamo ed Eva che si apprestano a lasciare il Paradiso, e non è un’esperienza individualistica.  Nei volti  e nelle figure è catturata l’idea di sé e del tormento e diventa simbolo universale di fallibilità e fragilità.
“Sulla battigia” è un’opera letteraria coltissima, sontuosa, umana. Forse con essa abbiamo conosciuto l’Assoluto.
Il filosofo Bauman parla di un mondo invulnerabile perché esaltato da chiamate e messaggi dove le emozioni sono soffuse, forse da un’idea di seduzione e desiderio. Ma l’uomo non può liberarsi di se stesso e della sua vita piena di significato e  deve conservare la sua vibrante agorà spirituale.
Hegel ci dice che la nottola di Minerva, dea della sapienza, distende le ali al crepuscolo; la conoscenza giunge  alla fine del giorno, e Sofocle aveva fatto della chiarezza della visione il monopolio del cieco Tiresia, e Heidegger aveva parlato di una buona illuminazione che è autentica cecità; non si può vedere quello che è fin troppo visibile.
“Sulla battigia” è un’opera di scavo psicologico, dove ci mettiamo in posizione conoscitiva e dove possiamo trasformare le nostre lacrime in conoscenza.
Oltre non si può andare perché, come dice Claude Sulzer, ogni opera letteraria contiene un segreto che deve essere custodito ma anche violato e i due impulsi sono contraddittori , ma mirabilmente intrecciati.
È il segreto del Rituale che ha la sua forza immortale.
Nelle poesie di Antonio Cervelli c’è una sola verità, la stessa che si legge nei Misteri Eleusini: l’insondabile, incantevole, profondo mistero dell’Essere in un Canto Lungo.

Luciana Capo
Dr.ssa in Filosofia e saggista


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