Michele Di Lieto ha pubblicato pochi giorni fa, con «L’ArgoLibro», l’attualissimo saggio «Mario Draghi. Dalla pandemia alla guerra ucraina».
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Ecco un nuovo articolo di Michele
Di Lieto nel quale aggiunge ulteriori considerazioni sul delicatissimo
periodo che stiamo attraversando.
Guerra ucraina. Zelenskj e gli Stati
Uniti
Chi avesse pensato, il giorno
dopo l’elezione a Presidente ucraino (20 maggio 2019), che Vladimir Zelenskj
potesse in così poco tempo diventare il protagonista della politica mondiale,
sarebbe stato trattato per pazzo. Per la verità, Vladimir Zelenskj si era
affacciato alla politica ben prima del 2019, avvicinandosi al movimento “Euromaidan”,
abbracciando sempre più posizioni filo occidentali, fino a formare un proprio
partito, “Servitore del popolo”, che aveva in programma l’ingresso della Ucraina
nell’UE e nella Nato. Un’altra e più
grave questione sul tappeto era la crisi russo-ucraina, in corso da tempo,
almeno dal 2014, e per questo Zelenskj aveva avviato trattative con la Russia
di Putin: trattative senza frutto, ciascuna delle parti essendo rimasta ferma
nelle sue posizioni, quella di Zelenskj vicina alla UE e alla Nato, quella di
Putin contraria all’ingresso della Ucraina nella UE e, soprattutto, nella Nato.
Fino allo scoppio della guerra in corso. Della quale non mi interessa
analizzare le cause, l’evoluzione, le possibili conseguenze: perché qui mi
preme esaminare un altro aspetto del conflitto, che riguarda le mosse del Presidente
ucraino che, se fossero del solo Zelenskj, ne farebbero un genio della guerra. Quella
dei media, della comunicazione. Si è cominciato con la “invasione”. Questo il
marchio impresso alla guerra dal Presidente ucraino. Con tutti i corollari che
ne derivano. Invasore Putin, invaso il territorio ucraino. Guerra di attacco
quella dei russi, di difesa quella degli ucraini: la prima, quella di attacco,
bocciata da tutti i trattati, la seconda, quella di difesa, riconosciuta dalla
costituzione di tutti i paesi sopravvissuti alla seconda guerra mondiale (“sacro
dovere” del cittadino: così l’art. 52 della Carta). Di qui la richiesta di
aiuto del paese aggredito a tutti i paesi occidentali, alla Nato, alla UE, agli
Stati europei. Armi, armi, armi, ha chiesto e chiede Zelenskj: e armi hanno
fornito gli USA, armi ha fornito la Nato, armi ha fornito la UE (Italia
compresa), armi ha fornito il Regno Unito (anche se è uscito dalla UE): perché,
si dice tra l’altro, l’Ucraina è diventato terreno di scontro tra paesi liberi
(gli occidentali) e paesi sottoposti a regime (i russi di Putin). Frattanto,
Zelenskj lancia accuse le più infamanti contro l’esercito aggressore. La
cronaca si arricchisce ogni giorno di più di notizie drammatiche. A partire
dalla strage di Boucha, 360 civili ucraini massacrati dai russi, accusati di
crimini di guerra, perché la strage di Boucha, a sentire Zelenskj, non è la
sola, ma si accompagna ad altre stragi della popolazione civile, a torture, stupri,
massacri, fosse comuni, corpi rinvenuti ammazzati nelle case distrutte, fino ad
arrivare alla accusa di genocidio, che, solo a sentirne parlare, evoca crimini
che credevamo sepolti dal tempo e rivivono invece nella memoria dei vivi. Se ne
fa interprete lo stesso Zelenskj, che ha creato un archivio on line per fornire
la prova delle atrocità commesse dall’esercito russo, e chiede per Putin un
nuovo processo di Norimberga (se no, l’ONU che ci sta a fare). Come si vede il
Presidente ucraino ha cambiato faccia. Da aggredito ad aggressore, quanto meno a
parole. Da uomo bisognoso di aiuto, in uomo che minaccia chi non volesse
aiutarlo: dalle invocazioni alle invettive (allontanate la Russia dal Consiglio
di sicurezza: altrimenti potete chiudere), dalle peregrinazioni (di persona o
in video conferenza) presso le capitali europee, a Capo riverito e ossequiato
(a Kiev, a casa sua). È recentissima la notizia che Ursula von der Layen,
Presidente della Commissione europea, è volata a Kiev assieme a Josep Borrell,
Alto Commissario per la politica estera, per testimoniare la propria
solidarietà al paese aggredito (“Tutto il mondo sta con l’Ucraina”). È
recentissima anche l’altra notizia, dell’arrivo a Kiev, del tutto imprevisto,
di Boris Johnson, Primo Ministro del Regno Unito, per parlare faccia a faccia
col Capo ucraino. Che cosa abbiano detto Ursula von der Layen e Boris Johson a Vladimir
Zelensky non si sa. Ma che avrebbero potuto dire se non assicurare nuovi aiuti,
nuovo danaro, promettere nuove sanzioni contro l’aggressore. Perché (di questo
non abbiamo parlato) l’intervento degli occidentali non si esaurisce nell’invio
di uomini e armi all’Ucraina, ma si aggiunge a sanzioni economiche assai gravi nei
confronti di Putin. Sanzioni che, a sentire l’altra campana, potrebbero
ritorcersi contro gli stessi Paesi che le hanno adottate (e qui l’avvertimento
è rivolto al nostro Paese, che dipende per le risorse energetiche dalla Russia
di Putin). Abbiano o meno avuto effetti le sanzioni e contro sanzioni delle
parti in causa, è certo che esse hanno ampliato a dismisura la distanza che
corre tra l’una e l’altra parte in guerra per una soluzione pacifica della
crisi. Trattative per la risoluzione di contrasti insorti lontano nel tempo erano
in corso ancor prima del 24 febbraio, data di inizio delle ostilità. Il che
dovrebbe insinuare notevoli dubbi sulla versione di Zelenskj (seguita, forse
anche anticipata dagli USA) sulla “invasione” del paese ucraino. Se tra i due
paesi a confronto esistevano trattative, se una delle forze in campo era in
grado di anticipare addirittura la data di inizio della guerra, sembra
impossibile che Putin e Zelenskj non ne abbiano parlato, che l’Ucraina (e gli
USA) non ne sapessero niente. Vero è che ancor prima del 24 febbraio e per
tutta la durata della guerra Zelenskj ha contato sull’appoggio degli USA (e di
Biden). Chi altri avrebbe potuto aderire immediatamente alle richieste di
aiuto, impegnarsi con uomini e mezzi (quelli della Nato) per diecine di
miliardi, sollecitare i Paesi alleati (l’UE) a manifestare concreta solidarietà
al popolo ucraino? E chi altri potrebbe ottenere vantaggi da una guerra lunga
che si rendesse ancora più lunga per il fallimento delle trattative se non gli
USA, interessati alle sanzioni economiche, più di preciso alle contro sanzioni
di Putin, che aprirebbero la strada a vendite di gas statunitense a quei paesi
che dovessero rimanerne. E chi altri potrebbe avere interesse al protrarsi del
conflitto se non gli USA, che vantano un commercio di armi unico al mondo e fanno
capo ai complessi militari industriali statunitensi ed europei? Quella della
“invasione” ingiustificata appare oggi una tesi sempre più incerta. Ne fa fede
la notizia filtrata da organi di informazione occidentali (Wall Street Journal)
che all’inizio di febbraio di quest’anno Zelenskj avrebbe rifiutato una ipotesi
di accordo fondata sulla neutralità dell’Ucraina e sulla sua rinuncia
all’ingresso nella Nato. Che restano per Putin punti irrinunciabili della
trattativa. Il guaio è che l’“invasione” accreditata dagli occidentali è stata
seguita da numerosi altri eventi, secondo Zelenskj provocati dai russi che, per
questo, dovrebbero essere processati dalla Corte penale internazionale de
L’Aia. Ora nessuno vuol negare che possano essersi verificati episodi dolorosi
tali da integrare crimini di guerra o violazione dei diritti umani: ma
l’accertamento non può essere affidato all’Ucraina, che è parte in causa, ma a
un organo imparziale. Tanto più che le immagini messe in giro (edifici
distrutti, palazzi evacuati, città bombardate) sono comuni a tutte le guerre,
soprattutto se si tratti di guerra (quasi) civile, insorta tra paesi che hanno
in comune lingua, cultura e tradizioni (per Putin sono la stessa cosa), nella
quale, come in tutte le guerre fratricide, fa da cornice il crimine di guerra,
la violenza brada, allo stato di natura. Che dire infine? Che dire oltre a quello
che ho già scritto? Che Zelenskj è una creatura di Biden e degli occidentali
che gli fanno corona; che Zelenskj si serve di uomini e mezzi, gli uni e gli
altri forniti dagli USA; che Zelenskj non muove foglia che Biden non voglia. Il
Presidente ucraino (che non è uno sprovveduto: i genitori hanno entrambi una
formazione scientifica, l’uno informatico, l’altra ingegnere, lo stesso
Zelenskj è laureato in Giurisprudenza ma non ha mai esercitato) fa di tutto per
mostrare la sua riconoscenza al paese amico, persino nel modo di affrontare le
interviste (quasi sempre a remoto, attraverso il video), persino nella foggia
di vestire, con quella maglietta verde militare che sa di “americano”. Per il
resto non c’è molto da aggiungere. Per chi come me crede poco alla trattativa,
che è rimasta senza esito prima, e continua ad esserlo ancora, c’è poco da
essere ottimisti. La guerra sarà lunga. Speriamo non si allarghi. Già la Nato
ha preannunciato la volontà di insediare le sue forze armate al confine con la
Russia da tutti i lati, ivi compreso quello ucraino. Io non sono profeta di
sciagure, mi astengo da previsioni scoraggianti. Mi chiedo però (se questo è l’obiettivo
degli USA, estendere, tramite la Nato, la zona di influenza degli occidentali sino
al confine con la Russia), se non abbia ragione Putin che proprio questo vorrebbe
evitare, sentirsi accerchiato da ogni lato, anche quello ucraino.
Michele Di Lieto
ecnolog