La Scapigliatura ti “spettina” l’anima
Ci siamo mai chiesti perché viviamo in
un determinato modo… per quale motivo rispettiamo determinate regole… perché? E
Per quale motivo dobbiamo vivere secondo alcuni schemi!? Tutta questa rigidità
potrebbe offuscare il nostro “estro” creativo, non trovate!? :-P
Rompere le “regole prestabilite” mi
porta alla mente un movimento artistico-letterario, sto parlando della
Scapigliatura. Che cosa si intende per Scapigliatura?
L’aggettivo “scapigliato” , che
significa propriamente “con i capelli scomposti, in disordine”, iniziò a
circolare in Italia verso la metà dell’Ottocento, per indicare individui dallo
stile di vita non conformista e antiborghese, in genere artisti scapestrati. Il
termine traduceva in modo approssimativo il francese bohémien, letteralmente “zingaro”, con cui ci si riferiva agli
artisti maledetti dell’ambiente
parigino.
L’uso di questo termine (Scapigliatura)
per indicare una precisa corrente letteraria italiana viene inaugurato dallo
scrittore Cletto Arrighi che nel
1862 pubblicò il romanzo La Scapigliatura,
che rappresentava appunto l’ambiente turbolento e irrequieto dei giovani
artisti milanesi.
Gli autori della scapigliatura si
differenziano per la predilezione di temi macabri, cupi, folli, fantastici e
proprio a proposito di ciò è di particolare importanza il racconto di Igino Ugo Tarchetti, La lettera U.
Il racconto, La lettera U (manoscritto
di un pazzo) costituisce uno degli esempi più interessanti della narrativa
scapigliata e della sua speciale attenzione alle situazioni assurde, abnormi,
marginali. Il protagonista soffre di una devastante ossessione che lo
terrorizza ogni volta che ha a che fare con la lettera U.
Ogni tentativo di superare questo stato
di incubo risulterà vano e il personaggio, divenuto pazzo, morirà in manicomio.
Il racconto viene presentato sotto forma di diario manoscritto, in modo da
proporre una storia vera, spiegabile scientificamente (o quanto meno,
documentabile) pur nella sua assurdità. La scrittura di Tarchetti riproduce
fedelmente la crescente alienazione del protagonista: l’ossessività delle
ripetizioni e l’introduzione di una rilevante innovazione grafica, la
riproduzione della lettera U in grandezze differenti, corrispondono allo
sviluppo dell’ossessione nella psiche.
Il protagonista del racconto concepisce
per questa vocale un’avversione tale da abbandonare una dopo l’altra tre donne,
che pure amava, colpevoli però di portare un nome nel quale figura la U. Alla
fine l’uomo si rassegna: ne sposa una, Ulrica, fiducioso di poterla convincere,
un giorno, a cambiare nome. Non ci riesce, però. E allora colpisce
rabbiosamente la moglie, fino a essere ricoverato in un manicomio, dove si
spegnerà senza più vincere questa ossessione per la U.
Proprio all’inizio del racconto la
serie di domande ci rivela subito la condizione alterata dell’io narrante. Man
mano che la narrazione procede, l’alterazione diviene vera e propria ossessione
psichica. La scrittura riproduce tale ossessione ripetendo i medesimi aggettivi
e infittendo le domande. Sono espedienti con i quali l’io narrante vuole
portare il suo interlocutore, il potenziale lettore del suo manoscritto, sul
suo stesso terreno, mostrandogli tutti gli orrori provocati dalla lettera U:
precisamente tale movimento di ricerca di consenso caratterizza la prima parte
del racconto.
Nella seconda parte, l’io narrante
passa a raccontare la propria vita: l’obiettivo, qui, non è più far aderire il
lettore alle proprie convinzioni, quanto mostrare il crescere del terrore per
la lettera U. La narrazione assume tratti paradossali e grotteschi, come rivela
la scelta della moglie in rapporto al nome. Nel finale il protagonista
raggiunge l’apice della follia: arriva a ergersi a salvatore (incompreso) del
mondo, considerando ingrati coloro che non lo capiscono e lo giudicano pazzo.
Perciò le frasi diventano sentenziose e perentorie; si moltiplicano inoltre i
punti esclamativi, già ampiamente ricorrenti nella prima parte del racconto. Importante
è poi l’ultima frase: il narratore esterno riprende il sopravvento e riporta il
racconto a una dimensione di normalità. Il punto di vista è ora quello
scientifico, di chi annota tutta l’infelicità connessa a una condizione di
malattia mentale: la secchezza dell’osservazione sembra quella del medico che
chiude la cartella clinica.
A ventidue anni, con tante belle idee nel capo, con tanti
affetti nel cuore doversi seppellire tra le mura di un ufficio e contemplare il
sole di maggio attraverso le gretole di una persiana! L' infimo degli insetti, che
ronza nella mia camera, l’infimo uccello che canta in un piccolo giardino del
cortile sono infinitamente di me più felici; essi vengono, vanno, vedono il
sole, contemplano la natura; io darei tutta la mia vita per una sola delle loro
giornate! Igino Ugo Tarchetti
Per contattare Ivana Leone: ivanaleone87@hotmail.it
Dal Segnalibro di marzo
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