«Più in me non vivo e giubilo, / vivo nel mio Signore. / Per sé mi volle; e struggimi / or per intenso ardore. / Gli detti il cuor, e in margine / scrissi con segni d'oro: / Môro perché non môro... / Oh, com'è triste vivere / lungi da te, mio Dio! / Se amar è dilettevole, lungo sperar è rio. / Troppo pesante è il carico, / troppo, Signor, m'accoro: Môro perché non môro... / Quella che in ciel tripudia, / quella è la vita vera; / ma poiché invan raggiungerla / senza morir si spera, / morte, crudel non essere, / dammi il Tesor che imploro! / Môro perché non môro » (Teresa d'Avila).
Chi si avvicina alla vita delle monache di clausura, immerse nel silenzio, nel lavoro, nella preghiera e nella contemplazione scoprirà che queste religiose hanno una grande conoscenza dell’esistenza e del mondo.
Non sono estranee alle sfide e alle gioie che la vita offre, ma, anzi, le vivono in una dimensione più profonda, in comunione con il Signore.
Le monache hanno uno sguardo allargato e vedono quell’oltre vita che il mondo spesso nega.
A riprova di quanto affermato possiamo proprio oggi, in occasione della memoria di Santa Teresa di Gesù, monaca e dottore della Chiesa, prendere in analisi il testo di una delle sue poesie più note, grazie anche alla voce di Giuni Russo, che negli anni novanta ne ricavò una canzone.
Per coloro che credono che la morte sia la fine della vita, i versi ispirati della grande Santa Teresa d'Avila aprono una nuova prospettiva. Questi versi ci spiegano la differenza tra la fine e il fine della vita e della morte.
La morte, per la mistica, diventa molto più di un evento fisico inevitabile. È un viaggio spirituale, un'esperienza che ci conduce verso una profonda unione con Dio e verso la conoscenza del senso del nostro cammino terreno. La morte diventa un portale verso una vita nuova, una vita in cui le limitazioni e le preoccupazioni terrene vengono superate.
Per Santa Teresa, morire significa lasciare alle spalle le catene che ci imprigionano e abbracciare la realtà più autentica nell'amore divino. È un processo di distacco dalle cose materiali e una totale sottomissione alla volontà di Dio. La morte diventa un'opportunità per fondersi in modo estatico con il Creatore, oltrepassando i confini della nostra esistenza terrena.
“Quella che in ciel tripudia, / quella è la vita vera; / ma poiché invan raggiungerla / senza morir si spera, / morte, crudel non essere, / dammi il Tesor che imploro!”
Nella strofa riportata, Santa Teresa esprime il suo desiderio di morire non come una fine, ma come un'apertura verso una dimensione più profonda dell'esistenza. Ecco quindi svelato il fine, che qui si rappresenta come un tesoro implorato.
L'esclamazione "Môro perché non môro" sottolinea questa sete di trasformazione interiore e fusione con Dio. La morte diventa un'occasione per abbandonarsi completamente all'amore divino.
Tuttavia, è importante sottolineare che, per Santa Teresa, la morte non implica una negazione della vita terrena. Tutt’altro! Secondo Santa Teresa è proprio la morte che ci invita a vivere appieno nel presente, consapevoli della trascendenza dell'amore di Dio.
“Oh, com'è triste vivere / lungi da te, mio Dio!”
Santa Teresa incoraggia ad abbracciare una vita attiva e impegnata nel mondo, soprattutto con la preghiera, sempre orientata verso l'amore divino e la ricerca di unione mistica con Dio per non essere tristi.
Quindi, per Santa Teresa d'Avila, il concetto di morte va oltre la semplice fine della vita fisica. È un'esperienza spirituale di trasformazione e liberazione dell'anima, un cammino che ci conduce a una profonda unione con Dio. La morte diventa un mezzo per superare le limitazioni della vita terrena e abbracciare pienamente l'amore divino, portandoci così verso una vita eterna, autentica e significativa, proprio quella che, in unione con la terrena, ben conoscono le monache di clausura.
(Milena Esposito)
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