Le interviste di Nello Amato
Una mente morsa da Madama Taranta
Intervista a Elena Giacobbe
Elena, spiegaci in poche parole chi sei, cosa ami
fare e perché hai scelto di pubblicare il tuo lavoro accademico con L'Argolibro.
Sono una
giovane donna alla perenne ricerca di un senso da attribuire alla sua vita. Per
questo fotografo, disegno e scrivo.
Ho scelto
di pubblicare con l'Argolibro perché é tra le poche realtà che conosco, dove
coltivare interessi non esclusivamente legati a calcoli statistici, non é un
peccato di hybris nei confronti del dio Mercato. Esiste anche altro!
Perché hai scelto come oggetto di studio,
di ricerca proprio il tarantismo? Che cos'è il tarantismo?
Al tarantismo ci sono arrivata per caso.
Seguo da dieci anni il maestro Eugenio Bennato e dai suoi testi sono risalita
agli studi demartiniani.
Il Tarantismo non é una moda, come molti
ottusamente ritengono. É una questione culturale che continua a interrogarci
tutti senza distinzione di età ,sesso e formazione accademica! Io credo che il
tarantismo, analizzato nella prospettiva demartiniana non possa tacere o essere
stravolto dalle logiche del mercato. Esso continua a "rispondere"
alle nostre angosce. In sintesi penso che sia ancora «quell'opera che vale», come direbbe De
Martino, contro l'indifferenza che abita le nostre solitudini urbane.
Può esserci una sottile differenza tra
taranta in senso lato, come ballo popolare e tarantismo oppure l'una è
prettamente il fondamento dell'altro, cioè del fenomeno nella sua generalità?
Scusami, mi preme precisare una questione
fondamentale. La taranta non é la danza. Esso é un simbolo mitico, figlio di
una lunghissima plasmazione culturale.
Il ballo è la tarantella, la danza del
piccolo regno, é il momento centrale dell'istituto culturale del tarantismo.
Il ballo in realtà é un agone simbolico
che vede fronteggiarsi tarantata e taranta al fine di ripristinare nella storia
la presenza della donna. La tarantata immagina di calpestare e uccidere,
simbolicamente, col piede che batte la danza, l'animale venereo. Per citare
Quasimodo: «Passo su passo cerca il suo equilibrio spirituale accerchiando la
vertigine su curve musicali sempre più strette fino alla scomparsa dei sensi».
Il tarantismo riguardava soltanto le
donne? Se sí, per quale ragione?
Il tarantismo non riguarda solo le donne ma la
predominanza del sesso femminile nei casi presi in considerazione da De Martino
durante la sua spedizione etnografica del 1959 é da imputare, secondo lo
stesso, al «tradizionale regime di esistenza, gravoso di soggezione che le fa
sperimentare quotidianamente come il suo operare sia fronteggiato,
contraddetto, ridotto, smentito e schiacciato dalle forze irrazionali dominanti».
Viviamo in un mondo dove la globalizzazione spesso
tende a sfumare, quasi ad annullare i particolarismi e le tradizioni dei
piccoli nuclei sociali. La taranta, però, desta curiosità, stupore, incanto,
attirando come un magnete, ogni anno, migliaia di visitatori in Salento. Perché
secondo te la stessa cosa non avviene anche nel nostro Cilento, benché ci siano
molti elementi di affinità con il Salento? Sfruttiamo poco le nostre tradizioni
secondo te?
Mi preme fare un'altra precisazione. Ad
annientare e svilire le nostre dignità non é la globalizzazione. Amselle dice
che non esiste cultura senza cultura e questo vale per tutte le epoche. Nel
senso che l'identità culturale scaturisce da un confronto perenne. Togliamoci
dalla testa questi sentimenti esclusivisti che favoriscono il germogliare degli
attuali ismi (razzismo, nazionalismo, ecc.). Siamo sempre stati cittadini
globali.
La storia degli altri é soprattutto la nostra
storia!!! Le minacce al nostro vivere globale,
al nostro vivere insieme é avanzata dal
globalitarismo. L'imperialismo della forma-merce, come lo definisce il
filosofo torinese Fusaro, che ci possiede dall'interno modificando i nostri
rapporti simbolici.
Ciò detto capisce bene che il verbo sfruttare
posto vicino al sostantivo tradizioni non mi piace. Le nostre tradizioni vanno
studiate capite e riproposte. Ciò detto sul tarantismo cilentano non si dispone
di dati etnografici sufficienti per poter parlare di una sua esistenza anche nel
nostro territorio. L'antropologa Annabella Rossi, che accompagnò De Martino nel
Salento nel 1959 e che insegnò all'università di Salerno, con la collaborazione
di due sue studentesse Patrizia Giannelli e Aurora Milillo, tuttavia si pose la
questione che portò anche alla pubblicazione di un testo dal titolo “E il Mondo
si fece giallo”. Ma non si può parlare con sicurezza dell'esistenza di un
tarantismo cilentano.
Qual è il rapporto con La terra del
rimorso di Ernesto De Martino del tuo lavoro? Quali affinità e/o divergenze ci
sono?
Il mio elaborato accademico é un umile
servitore del complesso lavoro demartiniano, spesso frainteso o criticato con
troppa superficialità. Tuttavia le divergenze sono profonde. Il mio lavoro si é
svolto su un campo anomalo. Non sono mai stata a Galatina né tantomeno ho
registrato interviste. Io sono stata l'informatrice di me stessa. Questo é
stato il mio campo, scelto inconsapevolmente a ritroso, al momento dell'impatto
col colosso De Martino.
Rispetto ai lavori precedenti sul tarantismo puoi
dirci se pensi di aver offerto qualcosa di nuovo agli studi di ricerca?
Sarebbe presuntuoso da parte mia
affermare questo!!! La ricerca é bene lasciarla agli antropologi di
professione. Per me é solo un interesse.
Una curiosità: balli la pizzica? Sei
tarantolata?
Purtroppo i miei piedi rimangono
saldamente attaccati al suolo... Non so ballare ma accenno qualche passo.
Oltre alla tesi, ci sono altre
pubblicazioni letterarie in cantiere (romanzi, poesie, racconti...)?
Ti posso dire che presso L'Argolibro nel
mese di dicembre ho pubblicato una mia poesia nel concorso “Lunedì Poesia”, dal
titolo “La carezza della rugiada” (qui la pagina dedicata).
Prospettive future?
Il futuro non esiste ancora, quindi perché
parlarne?
Elena, siamo giunti alla conclusione... Più che
una risposta a una domanda vorrei una riflessione da giovane, da donna, da
studiosa.
Viviamo in un mondo dove il telematico ha
letteralmente ucciso il libro cartaceo, la telenovela ha soppiantato il
racconto scritto e orale, le forme narrative televisive, ridondanti e
consumistiche, fanno sí che il soggetto non ricerchi la scrittura come rifugio
o fonte di piacere a causa della presenza ossessiva del virtuale. In questa
società la letteratura può ancora salvare il mondo?
In questo
momento storico ad essere sotto scacco é la capacità di vivere criticamente nel
mondo.
Se la
realtà che mi circonda non suscita in me emozioni e l'altro da me lo riduco a
mero oggetto per trastulli asettici nella migliore delle ipotesi o é un
individuo che ha la medesima inconsistenza del puro nulla, non scriveremo mai
niente. Se si continua in questa direzione per la scrittura e per l'editoria
non ci sarà mai spazio!! Ma ecco che ritorna il mio buon De Martino: ognuno di
noi ha il dovere di scegliere il proprio posto di combattimento per non passare
con tutto ciò che passa. Ognuno di noi che crede fermamente nella politica,
nell'arte, nella musica , nella letteratura, nell'antropologia può dare il suo
sostanziale contributo per mutare il segno del nostro viver attuale. Da segno
negativo di «cose ‘e niente» di De Filippiana memoria a segno positivo di «mamma
d'a bellezza» di scotellaria memoria, dove per concludere con il mio De
Martino, migliori potremmo essere tutti: noi che cerchiamo e loro che
incontriamo.