Non ho letto né
intendo leggere “Il mondo al contrario”, il libro del generale Roberto Vannacci,
che tante polemiche ha provocato, e sta provocando nel nostro Paese. So bene
che altri hanno esordito con le stesse parole. Ma è stata la prima idea che mi
è venuta in mente quando la polemica è scoppiata: il sospetto che il clamore
mediatico suscitato dalla pubblicazione potesse servire al generale (che,
quanto a libri, è alla sua prima esperienza), per divulgare e vendere il libro.
Dopo, ne sono venute altre (di idee)
mano a mano che i giornali pubblicavano recensioni, commenti, giudizi, forse
anche affrettati (da chi, come me, non ha letto, né vuole leggere il libro). Anche
perché il “non voglio” vale nulla o poco più quando si viene sopraffatti da una
marea di recensioni, commenti, giudizi che veicolano il pensiero dell’Autore attraverso
citazioni tratte dalla quarta di copertina, dalla nota preliminare,
dall’introduzione, da interi passi del libro, quando non dal libro intero,
pubblicato da “La voce del Trentino” il 18 di agosto, quasi in contemporanea dell’uscita
su “la Repubblica” (che poi tornerà
sull’argomento con un articolo di Ilvo Diamanti il 25). Preferisco invece soffermarmi
su un aspetto che non mi sembra adeguatamente valutato. È stato detto, e si
continua a ripetere, che il libro è stato autoprodotto, e costituisce un
esempio di self publishing, sistema che riversa sull’autore i costi e i rischi
di una pubblicazione senza l’intervento di una casa editrice: e questo a
partire dalla stesura del libro alla revisione, dalla correzione delle bozze alla
stampa vera e propria. Tutti danno però per scontato, nel caso del generale Vannacci,
l’intervento di Amazon, colosso del’e-commerce (nato, si badi, proprio per la
vendita di libri), che ha curato la messa in vendita, la promozione, la
pubblicazione e-book (consentita da Amazon anche per il self publishing). Delle
attività anteriori alla pubblicazione non sappiamo nulla: andrei però cauto
nell’interpretazione del termine ‘autoprodotto’, che può suscitare valutazioni
eccessive (ma come avrà fatto il Generale a fare tutto quello
che ha fatto in pochissimi giorni, dall’annuncio su “la Repubblica” ai sette
giorni successivi).
Fatta questa premessa, veniamo al sodo. Che cosa ha scritto Roberto
Vannacci di così intrigante da suscitare un vespaio di reazioni, positive e negative,
nel mondo politico (e non solo politico) del nostro Paese? Diciamo subito che “Il mondo al contrario” è
un libro controcorrente: non nel senso, comunemente usato, che oppone una
corrente all’altra, normalmente la minoritaria alla maggioritaria, ma nel senso
meno comune che separa il mondo di oggi dal mondo di ieri, ed è al mondo di
ieri che vanno le simpatie dell’Autore. Roberto Vannacci lancia una serie di
accuse contro il mondo di oggi, colpevole, secondo il generale, di avere monopolizzato
l’informazione a nome di una corrente (minoritaria) e di aver ridotto l’altra
(numericamente maggioritaria) a una massa di gente senza voce in capitolo. È di
questa voce contraria, di questa minoranza (o maggioranza, a seconda dei punti
di vista) che si fa portavoce il generale Vannacci.
Per quanto riguarda i destinatari, è lo stesso autore che ci viene in aiuto,
prima consigliando la lettura “a un
pubblico adulto e maturo in grado di comprendere gli argomenti proposti”, poi ponendo l’accento sulle categorie contestate:
immigrati, appartenenti a diverse etnie “per non dire razze” (annota lo stesso
autore), ambientalisti, femministe, omosessuali, come sono visti oggi, e
com’erano visti ieri, secondo una cultura mai scomparsa, e oggi soffocata. Scrive
Vannacci: “Basta aprire quella serratura di sicurezza a cinque
mandate che una minoranza di delinquenti ci ha imposto di montare sul nostro
portone di casa per inoltrarci in una città in cui un’altra minoranza di maleducati
graffitari imbratta muri e monumenti, sperando poi di non incappare in una
manifestazione di un’ulteriore minoranza che, per lottare contro una vaticinata
apocalisse climatica e contro i provvedimenti già presi e stabiliti dalla
maggioranza, blocca il traffico e crea disagio all’intera collettività. I
dibattiti non parlano che di diritti, soprattutto delle minoranze: di chi
asserisce di non trovare lavoro, e deve essere mantenuto dalla moltitudine che
il lavoro si è data da fare per trovarlo”.
Col che sono anche delineati i temi
affrontati in questo volume. Il generale Vannacci lo fa (per quello che appare dalle
recensioni che si susseguono di ora in ora), in maniera cruda, rozza,
aggressiva (“minoranza di delinquenti”, “apocalisse
climatica”, presunti “diritti delle minoranze”), non lascia spazio a voci
contrarie, e sembra far prevalere la veste militare sulla bontà della
scrittura, l’attitudine al comando all’umiltà della narrazione. Degli immigrati
(evidentemente irregolari) dice che “fingono di fuggire dalla guerra o dalla fame
perché altrimenti si fermerebbero prima e non arriverebbero in Italia”. Si
chiede dove ci porteranno “i devastati
mentali del culturalismo”, “delinquenti
etnici”. Parla agli omosessuali e dice: “Cari
omosessuali, normali non lo siete. Fatevene una ragione”. “Le coppie arcobaleno non sono normali. La
normalità è l’eterosessualità”. Del Gay Pride segnala le “sconcezze, stravaganze, blasfemie e
turpitudini”, oltre a “nudità volgari ed effusioni erotiche nebulizzate” qua e
là per il corteo. Parla delle femministe come di “moderne fattucchiere”. Attacca la
campionessa italiana di volley, Paola Egonu, scrivendo:”Italiana di cittadinanza, ma è evidente che i suoi tratti
somatici non rappresentano l’italianità”.
Si oppone al modello di famiglia “allargata”
e difende la famiglia “tradizionale”.
Con un rimpianto del passato, della cultura tramandata dagli avi, degli usi e
delle tradizioni antiche: una sorta di laudatio temporis acti che, se non fosse
fuori tempo e fuori luogo, meriterebbe maggiore fortuna. Giudica l’ambientalismo
attività “da strapazzo”, “zavorra
ideologica”, gli ambientalisti dei “talebani”,
“forsennati dell’ambiente”. Considera “totalmente
errata” l’idea che l’inquinamento sia dovuto ai paesi ricchi, alle loro industrie,
ai loro sistemi produttivi. Lamenta il ricorso sempre più frequente alle lingue
straniere che costringe a chiamare gay quelli che negli antichi dizionari
venivano chiamati coi più svariati nomi. Ne fa un elenco, che risparmio al
lettore.
Razzismo, omofobia, estremismo, questa l’accusa più
frequente che viene fatta al generale Vannacci. Che si difende invocando
libertà di espressione. Ma la libertà di espressione (art. 21 Cost.) non ha
valore assoluto: essa deve essere coordinata con altri principi costituzionali,
primo fra tutti quello proclamato dall’art. 3 che sancisce la dignità e l’eguaglianza
tra le persone senza distinzioni di razza. Questa comparazione va fatta dal
giudice, non da Vittorio Sgarbi. Non sembra pertanto corretto sostenere che “nella
garanzia dei diritti non ci sono gerarchie”, e che deve essere consentito a
chiunque di manifestare in un libro le proprie idee, “tra l’altro legate a
profondi principi cristiani”, senza patire sanzioni (Sgarbi). Ora, io non
vorrei imbarcarmi in questioni di merito che implicano un esame più approfondito
di quanto mi sia consentito da una frettolosa ricerca. Ma io non so come si
faccia a difendere dall’accusa di razzismo chi sostiene che Paola Egonu è sì
una cittadina italiana, “ma i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità”,
e vorrei sapere (da Sgarbi) quali sono i principi cristiani ai quali Vannacci si
sarebbe ispirato. Del resto, come avrebbe potuto esprimere opinioni diverse in
materia di razza chi rivendica il diritto all’odio e allo sprezzo, e confessa
che fin dalla più tenera età, in metrò a Parigi, poggiava volutamente le sue mani
su quelle dei neri “per capire se la loro
pelle fosse dura e rugosa come la nostra”? Certamente il problema della
coesistenza tra razze diverse è un problema serio, che non può essere risolto
con battute da bar. È un problema anche per gli Stati Uniti, dove è nato fin
dal tempo dei colonizzatori spagnoli, non è mai cessato, e divide ancora Trump
e Biden, repubblicani e democratici statunitensi. Ma la soluzione dovrebbe
tendere all’eguaglianza, non alla supremazia dell’una razza sull’altra, come
sembra di scorgere nelle parole del generale Vannacci, quando difende
l’italianità della razza, e si vanta di avere nelle vene lo stesso sangue di Cesare.
Un’ultima osservazione, e riguarda l’opportunità della pubblicazione.
Roberto Vannacci non è un quisque de populo, ma un generale dell’Esercito al comando
dell’Istituto Geografico Militare di Firenze fino a che non è scoppiato il
caso. A giudicare dalla cautela della nota introduttiva, egli stesso ha pensato
che “Il mondo al contrario” avrebbe potuto provocare le più svariate polemiche:
che sono scoppiate dividendo gli italiani in due, centro destra (Salvini in
primis) e centrosinistra (Fassino ed altri). Oltre alle cariche militari seguite
a una strepitosa carriera, il generale Vannacci (55 anni) ha alle spalle tre
lauree e vari corsi di specializzazione. È dotato, o dovrebbe essere dotato, di
buona cultura. Avrebbe dovuto pertanto evitare di rendere pubbliche le sue
opinioni, soprattutto se dissonanti dalla vulgata comune: quella perseguita e
faticosamente conquistata da chi è arrivato a quello che non solo si chiama, ma
è il progresso civile. Avrebbe dovuto il generale Vannacci ricordare a sé
stesso che un’alta autorità dello Stato deve sempre garantire una terzietà, una
imparzialità di giudizio in qualsiasi campo si trovi ad operare. Se la
sentirebbe il generale di giudicare l’allievo della scuola militare che volutamente
non avesse letto il libro o, peggio, non ne condividesse il contenuto? Un’alta
autorità dello Stato non può decidere di diffondere, con un battage
pubblicitario senza precedenti (il libro è primo nella classifica dei libri venduti
di Amazon), idee superate dai tempi, che continuano ad essere divisive. Il
generale Vannacci è stato sottoposto a procedimento disciplinare. Non mi
interessano gli aspetti legali. Ne faccio una questione di opportunità. E penso
che il generale Vannacci avrebbe fatto meglio a tenere per sé quello che pensa.
Almeno fino a che sarà Generale. Dopo
potrà fare tutto quello che vuole, anche politica. Gli auguriamo buona fortuna.
(Michele Di Lieto)
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