mercoledì 20 aprile 2022

Michele Di Lieto: nuove considerazioni sulla guerra Russia-Ucraina



Michele Di Lieto ha pubblicato pochi giorni fa, con «L’ArgoLibro», l’attualissimo saggio «Mario Draghi. Dalla pandemia alla guerra ucraina».

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Ecco un nuovo articolo di Michele Di Lieto nel quale aggiunge ulteriori considerazioni sul delicatissimo periodo che stiamo attraversando.

 

 

Guerra ucraina. Zelenskj e gli Stati Uniti

Chi avesse pensato, il giorno dopo l’elezione a Presidente ucraino (20 maggio 2019), che Vladimir Zelenskj potesse in così poco tempo diventare il protagonista della politica mondiale, sarebbe stato trattato per pazzo. Per la verità, Vladimir Zelenskj si era affacciato alla politica ben prima del 2019, avvicinandosi al movimento “Euromaidan”, abbracciando sempre più posizioni filo occidentali, fino a formare un proprio partito, “Servitore del popolo”, che aveva in programma l’ingresso della Ucraina nell’UE e nella Nato.  Un’altra e più grave questione sul tappeto era la crisi russo-ucraina, in corso da tempo, almeno dal 2014, e per questo Zelenskj aveva avviato trattative con la Russia di Putin: trattative senza frutto, ciascuna delle parti essendo rimasta ferma nelle sue posizioni, quella di Zelenskj vicina alla UE e alla Nato, quella di Putin contraria all’ingresso della Ucraina nella UE e, soprattutto, nella Nato. Fino allo scoppio della guerra in corso. Della quale non mi interessa analizzare le cause, l’evoluzione, le possibili conseguenze: perché qui mi preme esaminare un altro aspetto del conflitto, che riguarda le mosse del Presidente ucraino che, se fossero del solo Zelenskj, ne farebbero un genio della guerra. Quella dei media, della comunicazione. Si è cominciato con la “invasione”. Questo il marchio impresso alla guerra dal Presidente ucraino. Con tutti i corollari che ne derivano. Invasore Putin, invaso il territorio ucraino. Guerra di attacco quella dei russi, di difesa quella degli ucraini: la prima, quella di attacco, bocciata da tutti i trattati, la seconda, quella di difesa, riconosciuta dalla costituzione di tutti i paesi sopravvissuti alla seconda guerra mondiale (“sacro dovere” del cittadino: così l’art. 52 della Carta). Di qui la richiesta di aiuto del paese aggredito a tutti i paesi occidentali, alla Nato, alla UE, agli Stati europei. Armi, armi, armi, ha chiesto e chiede Zelenskj: e armi hanno fornito gli USA, armi ha fornito la Nato, armi ha fornito la UE (Italia compresa), armi ha fornito il Regno Unito (anche se è uscito dalla UE): perché, si dice tra l’altro, l’Ucraina è diventato terreno di scontro tra paesi liberi (gli occidentali) e paesi sottoposti a regime (i russi di Putin). Frattanto, Zelenskj lancia accuse le più infamanti contro l’esercito aggressore. La cronaca si arricchisce ogni giorno di più di notizie drammatiche. A partire dalla strage di Boucha, 360 civili ucraini massacrati dai russi, accusati di crimini di guerra, perché la strage di Boucha, a sentire Zelenskj, non è la sola, ma si accompagna ad altre stragi della popolazione civile, a torture, stupri, massacri, fosse comuni, corpi rinvenuti ammazzati nelle case distrutte, fino ad arrivare alla accusa di genocidio, che, solo a sentirne parlare, evoca crimini che credevamo sepolti dal tempo e rivivono invece nella memoria dei vivi. Se ne fa interprete lo stesso Zelenskj, che ha creato un archivio on line per fornire la prova delle atrocità commesse dall’esercito russo, e chiede per Putin un nuovo processo di Norimberga (se no, l’ONU che ci sta a fare). Come si vede il Presidente ucraino ha cambiato faccia. Da aggredito ad aggressore, quanto meno a parole. Da uomo bisognoso di aiuto, in uomo che minaccia chi non volesse aiutarlo: dalle invocazioni alle invettive (allontanate la Russia dal Consiglio di sicurezza: altrimenti potete chiudere), dalle peregrinazioni (di persona o in video conferenza) presso le capitali europee, a Capo riverito e ossequiato (a Kiev, a casa sua). È recentissima la notizia che Ursula von der Layen, Presidente della Commissione europea, è volata a Kiev assieme a Josep Borrell, Alto Commissario per la politica estera, per testimoniare la propria solidarietà al paese aggredito (“Tutto il mondo sta con l’Ucraina”). È recentissima anche l’altra notizia, dell’arrivo a Kiev, del tutto imprevisto, di Boris Johnson, Primo Ministro del Regno Unito, per parlare faccia a faccia col Capo ucraino. Che cosa abbiano detto Ursula von der Layen e Boris Johson a Vladimir Zelensky non si sa. Ma che avrebbero potuto dire se non assicurare nuovi aiuti, nuovo danaro, promettere nuove sanzioni contro l’aggressore. Perché (di questo non abbiamo parlato) l’intervento degli occidentali non si esaurisce nell’invio di uomini e armi all’Ucraina, ma si aggiunge a sanzioni economiche assai gravi nei confronti di Putin. Sanzioni che, a sentire l’altra campana, potrebbero ritorcersi contro gli stessi Paesi che le hanno adottate (e qui l’avvertimento è rivolto al nostro Paese, che dipende per le risorse energetiche dalla Russia di Putin). Abbiano o meno avuto effetti le sanzioni e contro sanzioni delle parti in causa, è certo che esse hanno ampliato a dismisura la distanza che corre tra l’una e l’altra parte in guerra per una soluzione pacifica della crisi. Trattative per la risoluzione di contrasti insorti lontano nel tempo erano in corso ancor prima del 24 febbraio, data di inizio delle ostilità. Il che dovrebbe insinuare notevoli dubbi sulla versione di Zelenskj (seguita, forse anche anticipata dagli USA) sulla “invasione” del paese ucraino. Se tra i due paesi a confronto esistevano trattative, se una delle forze in campo era in grado di anticipare addirittura la data di inizio della guerra, sembra impossibile che Putin e Zelenskj non ne abbiano parlato, che l’Ucraina (e gli USA) non ne sapessero niente. Vero è che ancor prima del 24 febbraio e per tutta la durata della guerra Zelenskj ha contato sull’appoggio degli USA (e di Biden). Chi altri avrebbe potuto aderire immediatamente alle richieste di aiuto, impegnarsi con uomini e mezzi (quelli della Nato) per diecine di miliardi, sollecitare i Paesi alleati (l’UE) a manifestare concreta solidarietà al popolo ucraino? E chi altri potrebbe ottenere vantaggi da una guerra lunga che si rendesse ancora più lunga per il fallimento delle trattative se non gli USA, interessati alle sanzioni economiche, più di preciso alle contro sanzioni di Putin, che aprirebbero la strada a vendite di gas statunitense a quei paesi che dovessero rimanerne. E chi altri potrebbe avere interesse al protrarsi del conflitto se non gli USA, che vantano un commercio di armi unico al mondo e fanno capo ai complessi militari industriali statunitensi ed europei? Quella della “invasione” ingiustificata appare oggi una tesi sempre più incerta. Ne fa fede la notizia filtrata da organi di informazione occidentali (Wall Street Journal) che all’inizio di febbraio di quest’anno Zelenskj avrebbe rifiutato una ipotesi di accordo fondata sulla neutralità dell’Ucraina e sulla sua rinuncia all’ingresso nella Nato. Che restano per Putin punti irrinunciabili della trattativa. Il guaio è che l’“invasione” accreditata dagli occidentali è stata seguita da numerosi altri eventi, secondo Zelenskj provocati dai russi che, per questo, dovrebbero essere processati dalla Corte penale internazionale de L’Aia. Ora nessuno vuol negare che possano essersi verificati episodi dolorosi tali da integrare crimini di guerra o violazione dei diritti umani: ma l’accertamento non può essere affidato all’Ucraina, che è parte in causa, ma a un organo imparziale. Tanto più che le immagini messe in giro (edifici distrutti, palazzi evacuati, città bombardate) sono comuni a tutte le guerre, soprattutto se si tratti di guerra (quasi) civile, insorta tra paesi che hanno in comune lingua, cultura e tradizioni (per Putin sono la stessa cosa), nella quale, come in tutte le guerre fratricide, fa da cornice il crimine di guerra, la violenza brada, allo stato di natura. Che dire infine? Che dire oltre a quello che ho già scritto? Che Zelenskj è una creatura di Biden e degli occidentali che gli fanno corona; che Zelenskj si serve di uomini e mezzi, gli uni e gli altri forniti dagli USA; che Zelenskj non muove foglia che Biden non voglia. Il Presidente ucraino (che non è uno sprovveduto: i genitori hanno entrambi una formazione scientifica, l’uno informatico, l’altra ingegnere, lo stesso Zelenskj è laureato in Giurisprudenza ma non ha mai esercitato) fa di tutto per mostrare la sua riconoscenza al paese amico, persino nel modo di affrontare le interviste (quasi sempre a remoto, attraverso il video), persino nella foggia di vestire, con quella maglietta verde militare che sa di “americano”. Per il resto non c’è molto da aggiungere. Per chi come me crede poco alla trattativa, che è rimasta senza esito prima, e continua ad esserlo ancora, c’è poco da essere ottimisti. La guerra sarà lunga. Speriamo non si allarghi. Già la Nato ha preannunciato la volontà di insediare le sue forze armate al confine con la Russia da tutti i lati, ivi compreso quello ucraino. Io non sono profeta di sciagure, mi astengo da previsioni scoraggianti. Mi chiedo però (se questo è l’obiettivo degli USA, estendere, tramite la Nato, la zona di influenza degli occidentali sino al confine con la Russia), se non abbia ragione Putin che proprio questo vorrebbe evitare, sentirsi accerchiato da ogni lato, anche quello ucraino.  

Michele Di Lieto

 

ecnolog

 

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