giovedì 14 settembre 2023

Incidenti sul lavoro – di Michele Di Lieto

 


La strage del 30 di agosto, cinque operai travolti da un treno di servizio mentre sostituivano i binari nei pressi della stazione di Brandizzo (Torino), ha ricordato a più d’uno la strage della Thyssen, colosso della industria tedesca specializzata nella produzione di ferro e acciaio, avvenuta il sei dicembre 2007, con sette operai arsi vivi nel rogo dello stabilimento di Torino. Sarà che entrambe le sciagure si sono verificate nel capoluogo piemontese; sarà che le due stragi hanno suscitato eguale clamore mediatico; sarà che nel primo processo, quello della Thissen, è stata prospettata per la prima volta la ipotesi del dolo eventuale (delitto doloso anziché colposo: contestata solo all’amministratore delegato della società germanica e accolta dalla Corte di Assise ma solo in primo grado); qui, a Brandizzo ribadita, almeno nei primi passi dell’indagine, dagli inquirenti  torinesi; sarà qualche altro motivo che mi sfugge, certa cosa è che ad ogni infortunio di grave entità, come per la Thyssen e come per Brandizzo, si susseguono a velocità sostenuta le manifestazioni (di cordoglio), le assicurazioni (per il futuro), le promesse (di intervento), le offerte di risarcimento da parte delle società assicuratrici (che non mancano mai e sono tutte, tranne quest’ultima, destinate a rimanere lettera morta). E provengono da tutte le parti politiche, ad ogni livello istituzionale. Dal Presidente della Repubblica al Papa, dal Presidente del Consiglio alle alte cariche dello Stato. Frattanto, non cessano quelle che chiamano morti bianche e che io continuo a chiamare rosse dal sangue degli innocenti. Il numero è impressionante. Pensate. Dalla strage di Brandizzo tredici morti sul lavoro (compresi i morti alla stazione): tredici morti in sette giorni. Dall’edile all’imbianchino, dal manovale al tecnico della funivia: tutti morti sul lavoro, l’uno folgorato, l’altro arso vivo, l’uno precipitato, l’altro schiacciato, l’altro ancora travolto (dal cestello dell’autogru che si è staccato dal gancio e lo ha ucciso). Indifferente è l’età: muoiono giovani e vecchi, e in qualsiasi parte d’Italia, da Corato a Viterbo, da Brescia a Caserta. Le reazioni sono tutte ex post: successive. Mentre qui occorre attività di prevenzione, occorrono controlli affidati a gente esperta, non necessariamente severa, capace: ma il controllo deve essere fatto prima, dopo non serve che a piangere il morto. Le reazioni accompagnano l’incidente, purché sia grave: e la gravità dipende dal numero delle vittime o, più raramente, dalla notorietà della vittima o dalla natura dell’incidente. E neanche questo mi sembra giusto. Perché la morte è morte, eguale per tutti, morte da lavoro, le vittime non fanno differenza e, che io ricordi, l’unica vittima, sola ma accompagnata dal coro dei mass media, risale al 2021, al 3 di maggio 2021, quando la giovane Luana D’Orazio, ventidue anni, è rimasta inghiottita dall’orditoio (macchina che prepara l’ordito) nella fabbrica tessile in cui lavorava. Sarà stata la giovane età, sarà stato che era mamma da poco, sarà stato che era bella (e come si fa a non essere belle a ventidue anni), certo è che di Luana, e della sua morte, parlarono tutti, a partire da Mario Draghi, allora Presidente del Consiglio. Pure, un controllo preventivo avrebbe evitato l’incidente. Intanto perché Luana lavorava da sola come apprendista, e non ci vuole un’arca di scienza per sapere che l’apprendista ha bisogno di un tutor, soprattutto quando l’attività alla quale è addetta è oggettivamente pericolosa. Inoltre perché l’orditoio era stato manomesso e un controllo preventivo, anche sommario, avrebbe accertato se e da chi era stato manomesso, se e da chi erano state osservate le norme di sicurezza. Tutte cose che sono state accertate dopo, e avranno sicuramente orientato la condotta processuale degli imputati, due dei quali, marito e moglie, titolari della fabbrica tessile, hanno accettato di patteggiare la pena. Un esempio, uno dei tanti, che dimostra l’utilità, o la necessità di controlli preventivi per salvare vite umane. Altrettanto, mutatis mutandis, può dirsi del disastro ferroviario di Brandizzo. È avvenuto il 30 di agosto: e otto giorni sono pochi per ricostruire la dinamica dell’incidente, accertare le colpe dei singoli. Che certamente esistono, e sono in via di accertamento, se gli operai sono stati travolti dal treno mentre lavoravano sui binari senza nullaosta e col treno investitore in arrivo. Pare che non fosse la prima volta che gli operai iniziassero e continuassero a lavorare ancor prima del nulla-osta. Ma, mi chiedo, sono stati mai eseguiti controlli sui lavori di manutenzione nelle Ferrovie piemontesi? Se sì, da chi sono stati eseguiti, a chi sono stati affidati? Forse all’addetto scorta della RFI (società appaltante) attualmente indagato (e proprio per avere consentito che il lavoro iniziasse prima) insieme con Andrea Girardin, capocantiere della Sigifer, (società appaltatrice), anch’egli indagato per lo stesso disastro, ma rimasto “miracolosamente” illeso? E a che si riducono i controlli, quando la stazione appaltante sembra obbedire alla sola logica del profitto, incrementando il numero di ore, diminuendo i salari, riducendo le pause? E a chi serve questa commistione di norme, quelle sulla colpa e quelle sulla sicurezza? a che serve questa distinzione tra colpa con previsione e dolo eventuale, se viene costantemente superata a favore della prima dalla Cassazione (S.C. SS.UU. 18.9.2014 n. 38343)? Quello che pare accertato è che la manutenzione veniva affidata a gente incapace, che non si curava di violare norme elementari di sicurezza in omaggio a una prassi sconsiderata, che bene avrebbe potuto scoprire il primo ispettore del lavoro che si fosse recato sul posto. Prevenzione, prevenzione e controllo. Questa è la lezione che si trae dalla strage di Brandizzo. Il guaio è che i controlli costano, servono nuovi ispettori del lavoro. A proposito, che fine hanno fatto i duemila ispettori promessi da Draghi per potenziare i servizi di controllo: sono stati assunti o sono rimasti lettera morta? E come la mettiamo coi giovani vincitori di concorso che rinunciano in massa al posto nel pubblico impiego (dove vengono retribuiti con salari da fame) e si rivolgono al privato? Il guaio è che le finanze statali non autorizzano soverchie illusioni. Se trovi le risorse per affrontare un problema, ce ne è un altro che ne rimane privo. Occorrono esercizi di equilibrio per far quadrare i conti, per assicurare priorità alle esigenze più acute, per distribuire equamente i fondi disponibili. Gli infortuni sul lavoro, che interessano la vita delle persone, meriterebbero priorità assoluta. Se così non fosse, di ispettori del lavoro si continuerebbe inutilmente a parlare, continuerebbero a disertare i giovani vincitori di concorso per rivolgersi al privato o migrare all’estero. Altre alternative non ne vedo.

 

Michele Di Lieto

micheledilieto2@tiscali.it

lunedì 11 settembre 2023

Verso l'autunno con il nuovo Segnalibro

 





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Nel numero di settembre trovate:

- l’opera di Angela Buccino;

- le poesie di Giovanni Capocello, Giuliano Manzo, Teresa Palladino, Attilio Bertolucci;

- la recensione di Giuseppe Salzano per la sua rubrica Leggendo… (qui il sito personale dell’autore);

- la recensione del romanzo Storia di Laura – La rinascita della magia nel Cilento” di Maria Sara Gorga;

- la recensione di “Trecento metri sul livello del mare” di Giuseppe Lupo;

- la rubrica “Sorridendo… Riflettendo”;

 - spazio dedicato alle pubblicazioni de “L’ArgoLibro” «Là, dove la notte esiste» di Sandra Ludovici e «L’arte dell’incontro – Interviste ai personaggi dello spettacolo» di Maria Cuono;

 …e tantissimo altro ancora!

L’ARGOLIBRO”: noi facciamo largo alle proposte di qualità.

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giovedì 7 settembre 2023

La guerra russo-ucraina. Papa Francesco e lo strappo con Kiev.

 


Mi sono più volte occupato nel corso degli anni di Papa Francesco. Sia perché Papa Francesco è il Papa dei deboli, degli oppressi, un Papa di sinistra, sia perché Papa Francesco si eleva di là dalla modestia che caratterizza tutti indistintamente gli uomini di governo del nostro Paese, e nei miei libri “storici” (si occupano prevalentemente di storia degli ultimi tempi) merita un posto di tutto rispetto. Credo tuttavia che Francesco sappia fare il Papa più di quanto sappia fare il politico. Prendiamo ad esempio la guerra russo-ucraina. Quando è scoppiata, e tutti parlavano di invasione, di territorio invaso, di aggressore e aggredito, è sembrato che papa Francesco non fosse restio a valutare le ragioni, oltre che dell’aggredito (Ucraina), anche dell’aggressore (la Nato): a sentire, come si dice, l’altra campana. Papa Francesco aveva egli stesso alimentato questa sensazione, accusando la Nato di avere facilitato se non provocato il conflitto “abbaiando come un cane alle porte della Russia”. L’accusa, contenuta in una intervista al Corriere, era stata accolta con favore dai russi, con molte perplessità dagli ucraini, secondo i quali Papa Francesco, ponendo sullo stesso piano la Russia di Putin e la Nato, strumento di guerra degli USA, avrebbe fatto un grosso piacere all’altra parte in causa. Interpretazione, quest’ultima, non del tutto scorretta: perché, anche a voler riportare, come papa Francesco riporta indietro nel tempo questa sensazione, ne verrebbe rafforzata non sminuita la tesi che la guerra sia stata provocata non solo da Putin ma da Putin e dalla Nato messi insieme. In ogni caso, è dall’inizio del conflitto che comincia, da parte di papa Francesco un balletto di posizioni, un alternarsi di dichiarazioni pro e contro Ucraina, che avrebbe fatto dire a qualcuno che la politica del Papa, oscillante ed ambigua, difficile da decifrare, non avrebbe neppure favorito la pace, in nome della quale il Vescovo di Roma si è mosso e si muove ancora. Né pare che un passo ulteriore, una adesione decisa in favore dell’Ucraina o della Russia, sia stato fatto dopo. Perché papa Francesco condanna la guerra, “iniziata da Putin” come “moralmente ingiusta”, invoca la pace, la guerra essendo il male assoluto, si offre per mediare ed ottenere un accordo tra le parti; ma quanto alle cause del conflitto, non ha cambiato idea. Ancora oggi Papa Francesco sostiene che non si può dividere il mondo tra buoni e cattivi, addossando agli uni le colpe, dichiarandone esenti gli altri; e quando proprio sembra che voglia cambiare parere, si scatena la bagarre, alimentata da Russia o Ucraina, a seconda che il passo del Papa possa essere interpretato a favore dell’una o dell’altra. Particolarmente reattiva sembra l’Ucraina che ha scatenato più di un incidente diplomatico contro la Santa Sede e un altro stava per scatenare qualche giorno fa per certe dichiarazioni di Papa Francesco. Vediamo che è successo. In un discorso sembra a braccio, in collegamento video con San Pietroburgo papa Francesco, rivolgendosi ai giovani cattolici russi là convenuti in occasione della Giornata della Gioventù, ha esortato i giovani fedeli a non dimenticare la Russia del passato. “Voi siete eredi della grande Russia”: la grande Russia dei santi, dei governanti, la grande Russia di Pietro il Grande, di Caterina la Grande, di quel grande impero illuminato, di grande cultura e umanità”. Non l’avesse mai fatto. È stato accusato di “propaganda imperialista”, di avere esaltato la “grande” Russia, invece di aprire gli occhi dei giovani sul corso distruttivo della Russia di Putin. Io non so se la difesa del papa, assunta dalla nunziatura apostolica di Kiev (che denuncia le interpretazioni erronee del testo, e rivendica a papa Francesco il ruolo di oppositore a qualsiasi forma di imperialismo), possa giovare al Pontefice.   Forse si poteva fare di più e di diverso: reclamando ad esempio il diritto del Papa di esprimere un giudizio (ammesso che si possa cogliere un giudizio storico nelle parole del Papa) sul passato (la Grande Russia) che non vale ad attribuirgli il ruolo né di difensore, né di oppositore agli imperialismi. La cosa mi ricorda quello che è successo a Milano agli inizi del conflitto, quando la Bicocca sospese un corso universitario su Dostoevskij per non fare un torto agli ucraini. La decisione, peraltro revocata, suscitò scalpore negli ambienti accademici (e non solo) per il potere attribuito alla guerra appena iniziata di oscurare un grande della letteratura.  Mutatis mutandis il discorso del Papa potrebbe avere, a seguire i soloni della Bicocca, un effetto pari a quello che avrebbe avuto il corso di lezioni su Dostoevskij, se la decisione non fosse stata revocata. Vero è che, come non avrebbe fatto un torto a chicchessia un corso di lezioni su un grande della letteratura, così non può fare, né ha fatto un torto alla Ucraina il passo del discorso di papa Francesco sullo zar e la zarina, e ha esortato i giovani russi a non dimenticare la storia del passato. Resta il fatto che la frase di Papa Francesco è apparsa ai più inopportuna. Se ne sarà accorto lo stesso papa, o il suo entourage, quando, rendendo pubblico il discorso per la traduzione, hanno espunto il passo incriminato (che è stato comunque divulgato). Soprattutto è andata storta agli ucraini la citazione di due Grandi, Pietro e Caterina, che ebbero sì interessi lato sensu culturali, ma fondarono, l’uno e l’altra, l’impero zarista, facendo della Russia il Paese più potente dell’est europeo (il che non avvenne senza guerre e progetti imperiali). lnsomma, papa Francesco avrebbe potuto fare a meno di imbarcarsi in un discorso storico, che avrebbe suscitato, come ha suscitato, la reazione ucraina. Della quale il Pontefice, è rimasto “irritato”. Era il meno (ma si tratta di un eufemismo) che potesse opporre agli ucraini un uomo, come Papa Francesco, che più volte ha condannato l’invasione (russa), l’occupazione del territorio invaso (l’Ucraina), ha ricordato le distruzioni e i morti civili (ucraini), ha condannato la guerra, ha invocato la pace.  È vero che Papa Francesco ha sempre tentato di avvicinare le parti in conflitto, assumendo quella posizione ondivaga di cui si è detto prima, ma la tattica della equidistanza non paga. Anche perché non è facile istituire un confronto tra le ambizioni ucraine e quelle russe, che sono pari.  Gli ucraini, e per essi gli USA, intendono vincere la guerra, i russi vogliono vincerla loro. Il fatto è che papa Francesco non crede, o non crede del tutto, che dietro gli ucraini ci siano gli USA, dietro Zelenskj ci sia Biden. Se questo appare agli occhi di tutti, papa Francesco non potrà non ammettere che qualsiasi sforzo di pace è destinato a fallire, se allo stesso tavolo non siederà il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, finora convitato di pietra. Che dire?  Che negli ultimi giorni, nelle ultime ore, le posizioni delle parti sembrano essersi ammorbidite. In particolare sembra diventata più tollerante la posizione di Zelenskj, Capo ucraino, che non si è detto contrario a una soluzione politica della vertenza che abbracci anche le sorti della Crimea. Quanto ai russi, Putin, sia pure con molte oscillazioni, si è dichiarato in passato favorevole e sembra oggi più che mai favorevole al dialogo che porti alla pace.  Quale che sia la causa, certo è che russi e ucraini sembrano oggi più disponibili di quanto non fossero ieri. Se questo fosse vero, ne trarrebbe vantaggio anche papa Francesco, avrebbe maggiori possibilità di successo la sua mediazione. E nessuno più potrebbe rimproverargli di fare propaganda all’imperialismo, provocando una polemica assurda della quale non c’era bisogno.

Michele Di Lieto

martedì 29 agosto 2023

Roberto Vannacci: “Il mondo al contrario”. Commento di Michele Di Lieto



Non ho letto né intendo leggere “Il mondo al contrario”, il libro del generale Roberto Vannacci, che tante polemiche ha provocato, e sta provocando nel nostro Paese. So bene che altri hanno esordito con le stesse parole. Ma è stata la prima idea che mi è venuta in mente quando la polemica è scoppiata: il sospetto che il clamore mediatico suscitato dalla pubblicazione potesse servire al generale (che, quanto a libri, è alla sua prima esperienza), per divulgare e vendere il libro.  Dopo, ne sono venute altre (di idee) mano a mano che i giornali pubblicavano recensioni, commenti, giudizi, forse anche affrettati (da chi, come me, non ha letto, né vuole leggere il libro). Anche perché il “non voglio” vale nulla o poco più quando si viene sopraffatti da una marea di recensioni, commenti, giudizi che veicolano il pensiero dell’Autore attraverso citazioni tratte dalla quarta di copertina, dalla nota preliminare, dall’introduzione, da interi passi del libro, quando non dal libro intero, pubblicato da “La voce del Trentino” il 18 di agosto, quasi in contemporanea   dell’uscita su  “la Repubblica” (che poi tornerà sull’argomento con un articolo di Ilvo Diamanti il 25). Preferisco invece soffermarmi su un aspetto che non mi sembra adeguatamente valutato. È stato detto, e si continua a ripetere, che il libro è stato autoprodotto, e costituisce un esempio di self publishing, sistema che riversa sull’autore i costi e i rischi di una pubblicazione senza l’intervento di una casa editrice: e questo a partire dalla stesura del libro alla revisione, dalla correzione delle bozze alla stampa vera e propria. Tutti danno però per scontato, nel caso del generale Vannacci, l’intervento di Amazon, colosso del’e-commerce (nato, si badi, proprio per la vendita di libri), che ha curato la messa in vendita, la promozione, la pubblicazione e-book (consentita da Amazon anche per il self publishing). Delle attività anteriori alla pubblicazione non sappiamo nulla: andrei però cauto nell’interpretazione del termine ‘autoprodotto’, che può suscitare valutazioni eccessive (ma come avrà fatto il Generale a fare tutto quello che ha fatto in pochissimi giorni, dall’annuncio su “la Repubblica” ai sette giorni successivi).

Fatta questa premessa, veniamo al sodo. Che cosa ha scritto Roberto Vannacci di così intrigante da suscitare un vespaio di reazioni, positive e negative, nel mondo politico (e non solo politico) del nostro Paese?  Diciamo subito che “Il mondo al contrario” è un libro controcorrente: non nel senso, comunemente usato, che oppone una corrente all’altra, normalmente la minoritaria alla maggioritaria, ma nel senso meno comune che separa il mondo di oggi dal mondo di ieri, ed è al mondo di ieri che vanno le simpatie dell’Autore. Roberto Vannacci lancia una serie di accuse contro il mondo di oggi, colpevole, secondo il generale, di avere monopolizzato l’informazione a nome di una corrente (minoritaria) e di aver ridotto l’altra (numericamente maggioritaria) a una massa di gente senza voce in capitolo. È di questa voce contraria, di questa minoranza (o maggioranza, a seconda dei punti di vista) che si fa portavoce il generale Vannacci.  

Per quanto riguarda i destinatari, è lo stesso autore che ci viene in aiuto, prima consigliando la lettura “a un pubblico adulto e maturo in grado di comprendere gli argomenti proposti”, poi ponendo l’accento sulle categorie contestate: immigrati, appartenenti a diverse etnie “per non dire razze” (annota lo stesso autore), ambientalisti, femministe, omosessuali, come sono visti oggi, e com’erano visti ieri, secondo una cultura mai scomparsa, e oggi soffocata. Scrive Vannacci:  “Basta aprire quella serratura di sicurezza a cinque mandate che una minoranza di delinquenti ci ha imposto di montare sul nostro portone di casa per inoltrarci in una città in cui un’altra minoranza di maleducati graffitari imbratta muri e monumenti, sperando poi di non incappare in una manifestazione di un’ulteriore minoranza che, per lottare contro una vaticinata apocalisse climatica e contro i provvedimenti già presi e stabiliti dalla maggioranza, blocca il traffico e crea disagio all’intera collettività. I dibattiti non parlano che di diritti, soprattutto delle minoranze: di chi asserisce di non trovare lavoro, e deve essere mantenuto dalla moltitudine che il lavoro si è data da fare per trovarlo”.  

Col che sono anche delineati i temi affrontati in questo volume. Il generale Vannacci lo fa (per quello che appare dalle recensioni che si susseguono di ora in ora), in maniera cruda, rozza, aggressiva (“minoranza di delinquenti”, “apocalisse climatica”, presunti “diritti delle minoranze”), non lascia spazio a voci contrarie, e sembra far prevalere la veste militare sulla bontà della scrittura, l’attitudine al comando all’umiltà della narrazione. Degli immigrati (evidentemente irregolari) dice che fingono di fuggire dalla guerra o dalla fame perché altrimenti si fermerebbero prima e non arriverebbero in Italia”. Si chiede dove ci porteranno “i devastati mentali del culturalismo”, “delinquenti etnici”. Parla agli omosessuali e dice: “Cari omosessuali, normali non lo siete. Fatevene una ragione”. “Le coppie arcobaleno non sono normali. La normalità è l’eterosessualità”. Del Gay Pride segnala le “sconcezze, stravaganze, blasfemie e turpitudini”, oltre a “nudità volgari ed effusioni erotiche nebulizzate” qua e là per il corteo. Parla delle femministe come di “moderne fattucchiere”. Attacca la campionessa italiana di volley, Paola Egonu, scrivendo:”Italiana di cittadinanza, ma è evidente che i suoi tratti somatici  non rappresentano l’italianità”. Si oppone al modello di famiglia “allargata” e difende la famiglia “tradizionale”. Con un rimpianto del passato, della cultura tramandata dagli avi, degli usi e delle tradizioni antiche: una sorta di laudatio temporis acti che, se non fosse fuori tempo e fuori luogo, meriterebbe maggiore fortuna. Giudica l’ambientalismo attività “da strapazzo”, “zavorra ideologica”, gli ambientalisti dei “talebani”, “forsennati dell’ambiente”. Considera “totalmente errata” l’idea che l’inquinamento sia dovuto ai paesi ricchi, alle loro industrie, ai loro sistemi produttivi. Lamenta il ricorso sempre più frequente alle lingue straniere che costringe a chiamare gay quelli che negli antichi dizionari venivano chiamati coi più svariati nomi. Ne fa un elenco, che risparmio al lettore.

Razzismo, omofobia, estremismo, questa l’accusa più frequente che viene fatta al generale Vannacci. Che si difende invocando libertà di espressione. Ma la libertà di espressione (art. 21 Cost.) non ha valore assoluto: essa deve essere coordinata con altri principi costituzionali, primo fra tutti quello proclamato dall’art. 3 che sancisce la dignità e l’eguaglianza tra le persone senza distinzioni di razza. Questa comparazione va fatta dal giudice, non da Vittorio Sgarbi. Non sembra pertanto corretto sostenere che “nella garanzia dei diritti non ci sono gerarchie”, e che deve essere consentito a chiunque di manifestare in un libro le proprie idee, “tra l’altro legate a profondi principi cristiani”, senza patire sanzioni (Sgarbi). Ora, io non vorrei imbarcarmi in questioni di merito che implicano un esame più approfondito di quanto mi sia consentito da una frettolosa ricerca. Ma io non so come si faccia a difendere dall’accusa di razzismo chi sostiene che Paola Egonu è sì una cittadina italiana, “ma i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità”, e vorrei sapere (da Sgarbi) quali sono i principi cristiani ai quali Vannacci si sarebbe ispirato. Del resto, come avrebbe potuto esprimere opinioni diverse in materia di razza chi rivendica il diritto all’odio e allo sprezzo, e confessa che fin dalla più tenera età, in metrò a Parigi, poggiava volutamente le sue mani su quelle dei neri “per capire se la loro pelle fosse dura e rugosa come la nostra”? Certamente il problema della coesistenza tra razze diverse è un problema serio, che non può essere risolto con battute da bar. È un problema anche per gli Stati Uniti, dove è nato fin dal tempo dei colonizzatori spagnoli, non è mai cessato, e divide ancora Trump e Biden, repubblicani e democratici statunitensi. Ma la soluzione dovrebbe tendere all’eguaglianza, non alla supremazia dell’una razza sull’altra, come sembra di scorgere nelle parole del generale Vannacci, quando difende l’italianità della razza, e si vanta di avere nelle vene lo stesso sangue di Cesare.

Un’ultima osservazione, e riguarda l’opportunità della pubblicazione. Roberto Vannacci non è un quisque de populo, ma un generale dell’Esercito al comando dell’Istituto Geografico Militare di Firenze fino a che non è scoppiato il caso. A giudicare dalla cautela della nota introduttiva, egli stesso ha pensato che “Il mondo al contrario” avrebbe potuto provocare le più svariate polemiche: che sono scoppiate dividendo gli italiani in due, centro destra (Salvini in primis) e centrosinistra (Fassino ed altri). Oltre alle cariche militari seguite a una strepitosa carriera, il generale Vannacci (55 anni) ha alle spalle tre lauree e vari corsi di specializzazione. È dotato, o dovrebbe essere dotato, di buona cultura. Avrebbe dovuto pertanto evitare di rendere pubbliche le sue opinioni, soprattutto se dissonanti dalla vulgata comune: quella perseguita e faticosamente conquistata da chi è arrivato a quello che non solo si chiama, ma è il progresso civile. Avrebbe dovuto il generale Vannacci ricordare a sé stesso che un’alta autorità dello Stato deve sempre garantire una terzietà, una imparzialità di giudizio in qualsiasi campo si trovi ad operare. Se la sentirebbe il generale di giudicare l’allievo della scuola militare che volutamente non avesse letto il libro o, peggio, non ne condividesse il contenuto? Un’alta autorità dello Stato non può decidere di diffondere, con un battage pubblicitario senza precedenti (il libro è primo nella classifica dei libri venduti di Amazon), idee superate dai tempi, che continuano ad essere divisive. Il generale Vannacci è stato sottoposto a procedimento disciplinare. Non mi interessano gli aspetti legali. Ne faccio una questione di opportunità. E penso che il generale Vannacci avrebbe fatto meglio a tenere per sé quello che pensa. Almeno fino a che sarà Generale.  Dopo potrà fare tutto quello che vuole, anche politica. Gli auguriamo buona fortuna.

(Michele Di Lieto)

 


lunedì 21 agosto 2023

Sandra Ludovici - Là, dove la notte esiste

 


Autrice: Sandra Ludovici

Titolo: Là, dove la notte esiste

Editore: L’ArgoLibro

Collana: La Piuma del Poeta

Anno di pubblicazione: 2023

Numero pagine: 62

Copertina: in cartoncino, sovraccoperta a colori con alette

Formato: 16x24

Prezzo di copertina: euro 10,00

Spese di spedizione: euro 5,00 (raccomandata postale)

Per info e ordini: largolibro@gmail.com    

Per contattare l’autrice: sludovici99@gmail.com

 

La lucidissima penna di Sandra Ludovici ci dona una nuova raccolta che ha il sapore della sospensione, dell’interrogazione, della domanda che non trova – non può – trovare subito risposta, ma viene comunque formulata con attenzione e fiducia.

I percorsi temporali di questa poesia sono molteplici e di ampissimo respiro, a dimostrazione del fatto che la poesia di qualità possiede sempre uno sguardo dall’alto che le permette di spaziare e trovare legami apparentemente impossibili.

Nella sua splendida recensione su “Zona di disagio” (per leggerla cliccate sul link in calce), il critico letterario e poeta Nicola Vacca tra l’altro scrive: «Entrare nella notte di Sandra Ludovici significa vedere la luce della poesia, quel faro di cui abbiamo bisogno per non perdere la rotta.» Notte/giorno, buio/luce: gli estremi si avvicinano grazie alla potente energia sprigionata dalla parola e si instaurano dialoghi che rendono possibile la conoscenza profonda.

Le tantissime raccolte di Sandra Ludovici sono la migliore conferma dell’assoluta originalità del suo linguaggio e di una vena poetica estremamente rigogliosa.

 

Cliccate qui per leggere la recensione di Nicola Vacca su “Zona di disagio”.

sabato 5 agosto 2023

Anche ad agosto il Segnalibro ci accompagna

 





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Nel numero di agosto trovate:

- l’opera di Angela Buccino;

- la recensione del romanzo Storia di Laura – La rinascita della magia nel Cilento” di Maria Sara Gorga;

- la rubrica “Sorridendo… Riflettendo”;

- la recensione di “Trecento metri sul livello del mare” di Giuseppe Lupo;

- le poesie di Massimo CervoniTeresa Palladino, Umberto Saba e Giorgio Caproni;

- la recensione di Giuseppe Salzano per la sua rubrica Leggendo… (qui il sito personale dell’autore);

 - spazio dedicato alle pubblicazioni de “L’ArgoLibro” «C’è ancora molto sulla terra» di Velso Mucci, «Emily Dickinson – Il sogno del diavolo» di Milena Esposito e «Fino all’ultima fila – Francesco De Gregori raccontato dal suo pubblico» di Mariateresa Franza;

 …e tantissimo altro ancora!

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martedì 1 agosto 2023

Gli autori de "L'ArgoLibro" a "Cuntarìa"

 


Dal 3 al 6 agosto torna “Cuntarìa” a Stella Cilento (Salerno). Tantissimi appuntamenti all’insegna dell’arte in tutte le sue manifestazioni, dell’intrattenimento piacevole e di qualità.

Per il programma dettagliato e tutte le info, su Facebook cercate la Pagina “Cùntarìa” (https://www.facebook.com/profile.php?id=100046892391992).

Saranno presenti anche vari autori della Casa editrice “L’ARGOLIBRO”, l’appuntamento è ogni sera presso il “Giardino delle Storie”.

Cliccate sui link per aprire la pagina dei libri presentati.

 

- Giovedì 3 agosto

Ore 20:00

Con Gennaro Guida e Giovanna Chirico

https://largolibro.blogspot.com/2021/04/gennaro-guida-animali-spaziali.html

 

- Venerdì 4 agosto

Ore 20:00

Con Amedeo Giordano, Paola Tozzi, Biancarosa Di Ruocco

http://largolibro.blogspot.com/2023/03/amedeo-giordano-voci-soffocate.html

 

- Sabato 5 agosto

Ore 20:00

Con Biancarosa Di Ruocco, Giovanna Chirico

https://largolibro.blogspot.com/2023/06/biancarosa-di-ruocco-donne.html

 

- Domenica 6 agosto

Ore 20:00

Con Ariosto Gnarra, Biancarosa Di Ruocco, Mariella Marchetti

https://largolibro.blogspot.com/2023/02/ariosto-gnarra-giraffa-in-fiamme.html

 

Non mancate e… passate parola!