Esistono molteplici analogie tra la guerra
appena scoppiata tra Israele e Hamas, uno dei gruppi paramilitari appartenenti alla famiglia arabo-palestinese,
e la guerra scoppiata nel febbraio 2022, più di un anno fa, tra Russia e
Ucraina. Entrambe nascono da un colpo violento, una “aggressione” di un popolo
contro l’altro: nel primo caso, del soggetto più debole (Hamas) contro il più
forte (Israele); nel secondo, del soggetto più forte (Russia) contro il più
debole (Ucraina). Entrambe hanno radice in conflitti risalenti nel tempo, assai
più antichi della data assegnata (ma solo per comodità) all’inizio delle
ostilità: alla fine della seconda guerra
mondiale e alla creazione dello Stato di Israele (1948) la prima; al distacco
dell’Ucraina e alla creazione di uno Stato autonomo (1991) nella fascia da
sempre considerata parte integrante del territorio russo, la seconda. Occorre
qui, per una più corretta comprensione dei fatti, fare una premessa, anzi due. La
prima. Israele, da quando è stato creato lo Stato omonimo, occupa un
territorio, o parte di un territorio, la Palestina, prima abitata dagli arabi:
anche la parte di territorio (Cisgiordania e Striscia di Gaza) che, in un
disegno spartitorio patrocinato dall’ONU, avrebbe dovuto essere assegnata ai
palestinesi, veniva occupata, o parzialmente occupata dagli israeliani,
colpevoli di una colonizzazione delle aree interessate, considerata illegittima
dalla stessa autorità sovranazionale. Seconda. L’attacco di Hamas, che ha dato
origine al conflitto appena scoppiato, ed è partito proprio dalla striscia di
Gaza, è stato violento, di una violenza inaudita, con impiego di uomini e mezzi
quali mai erano stati usati, ed hanno letteralmente bucato la difesa israeliana,
colta impreparata, e giungendo a destinazione, fino a raggiungere Tel Aviv e
Gerusalemme, al centro di Israele, oltre che la Cisgiordania, anch’essa
parzialmente occupata (e colonizzata) dagli israeliani. Si sono convinti, gli
occidentali, che l’attacco è stato lungamente preparato, e che i palestinesi
sono oggi dotati di uomini e mezzi superiori a quelli esibiti nel corso delle
guerre anteriori. Certo è che Hamas ha colpito obiettivi e fatto vittime non
solo a Gaza, ma in mezza Israele, abbattendo un kibbutz dove era in corso un
rave party, e dove centinaia sono stati i morti, altrettanti i giovani
israeliani catturati e fatti ostaggio. A giudicare dai dossier prodotti da
Israele, l’attacco di Hamas ha fatto morti tra i civili, e violenza è stata
esercitata su donne e bambini. Non si fermano qui le analogie già descritte,
comprese le scene di violenza, tra le due guerre, quella scatenata dalla Russia
e quella scatenata da Hamas. Entrambi,
russi e palestinesi, rifiutano la qualifica di “aggressore” data comunemente a
chi ha sferrato l’attacco; entrambi, palestinesi e israeliani, invocano il
diritto alla legittima difesa: i primi, contro l’oppressione esercitata con
tutti i mezzi, leciti e illeciti, dai più forti (gli israeliani), gli altri
contro l’attacco scatenato da Hamas e dai Palestinesi. Questi ultimi, e i loro
capi, rifiutano l’appellativo di
“terroristi” o “macellai islamici” (di conio più recente), ma invocano aiuto dalle diverse etnie che
compongono la stessa famiglia: il che vuol dire che anche la guerra appena
scoppiata può estendersi e coinvolgere paesi terzi. È proprio questo destino
comune che costituisce fonte delle maggiori preoccupazioni, essendo fondato il
timore che dall’una o dall’altra guerra, o da tutte e due assieme, nasca una
guerra globale, affidata ad armi ben più potenti di quelle (le prime atomiche)
usate nella seconda guerra mondiale, con effetti diversi e più gravi di quelli
già sperimentati sul nostro pianeta. Nel primo caso (quello russo-ucraino) la
guerra locale è già degenerata in conflitto globale. Tutti sanno che dietro
l’Ucraina vi sono gli Stati Uniti, che non cessano di inviare uomini e mezzi al
paese aggredito. E con la partecipazione degli Stati Uniti, della Nato e
dell’Unione Europea, la guerra ha assunto dimensioni più ampie di un conflitto
locale. Pure nel secondo caso (israelo palestinese) la guerra si è ampliata,
Israele avendo ricevuto la solidarietà di tutto l’Occidente, degli Stati Uniti
per primi (1), e Hamas avendo già chiesto aiuto agli hetzbollah, in nome di una
comune aspirazione, la cacciata degli invasori, occupanti ritenuti illegittimi, dai territori palestinesi. Fatta
questa duplice premessa, ne faccio un’altra, più propriamente geopolitica, che
servirà a chi volesse approfondire le sue conoscenze sulla guerra israelo
palestinese. Abbiamo già detto, se non qui altrove, che l’attacco è stato
sferrato dai palestinesi dalla striscia di Gaza, in loro possesso, non
esclusivo; che il colpo di Hamas, non previsto dagli israeliani, è stato così
violento da provocare vittime e danni impensabili fino a ieri per un paese,
Israele, dotato di servizi di intelligence tra i più avanzati nel mondo; che
all’attacco Israele ha risposto o sta per rispondere con una controffensiva che
mira alla conquista di Gaza, nella certezza che “nulla sarà più come prima”.
Dunque, Gaza. Che cosa è Gaza? Gaza è una lingua di terra lunga 41 chilometri
larga dieci, che si affaccia sul Mediterraneo, e confina dagli altri lati con
Egitto e Israele. Senza voler fare la storia della striscia di Gaza, che
vorrebbe dire ripercorrere la guerra, la serie di guerre tra israeliani e
palestinesi, mi limiterò a dire che dal 2006, anno in cui ha vinto le elezioni,
è proprio Hamas ad esercitare il controllo su Gaza: un controllo non esclusivo,
e sempre contestato dagli israeliani, che solo l’anno prima, su pressioni della
comunità internazionale, avevano accettato di ritirare i novemila coloni
israeliani là insediati con finalità tutt’altro che pacifiche, le stesse
esercitate dalle forze militari israeliane attive sul territorio, le stesse
forze che dal 2006 in poi hanno attuato un embargo via terra e via mare su
Gaza, interrompendo le forniture di acqua, elettricità e cibo, e riducendo i
palestinesi alla fame (se non erano già affamati: i palestinesi sono tra i più
poveri al mondo). Questo anche per notare come il recente attacco di Hamas sia
solo l’ultimo episodio di una guerra fatta di soprusi e soverchierie anche da
parte israeliana, e come vittime di questa guerra siano soprattutto i civili
palestinesi, che hanno resistito e resistono nella striscia di Gaza, ma anche
in Cisgiordania, e sono un tutt’uno con Hamas, come dimostra l’esito della
battaglia elettorale. Le ragioni che hanno provocato l’attacco sono legate
probabilmente al tentativo di normalizzazione dei rapporti tra Israele ed
alcune nazioni, Arabia Saudita in testa. “Ma non potrebbe bastare a scatenare
un simile inferno, se non ci fossero anche decenni di discriminazioni, di
bombardamenti quotidiani, di ghettizzazioni nella Striscia di Gaza, di
vessazioni in Cisgiordania, di colonie imposte nonostante siano state
dichiarate illegali dalle Nazioni Unite, di embarghi, povertà, fame, mancanza
di scuole, di elettricità, di cibo, di ospedali e medicine (Lifegate
9.10.2023)”. Questo anche per dire quanto sia complicato il compito di chi
voglia stabilire chi ha ragione e chi ha torto senza considerare i precedenti
(nel caso concreto: quattro conflitti fino all’attacco di Hamas) e senza
valutare le dimensioni della reazione di chi invoca la legittima difesa:
reazione che da che mondo è mondo deve essere proporzionata alla offesa (e nel
caso concreto è giunta all’assedio di Gaza, alla minaccia di annientamento di
Hassam, all’annuncio di guerra totale, alla controffensiva che ha mietuto
vittime anche tra i bambini (614 finora), all’ordine di evacuazione dei civili
palestinesi, più di un milione, ad evitare una ulteriore strage di innocenti,
ma anche a trasformare la striscia di Gaza in una prigione “a cielo aperto”).
Come si vede, ragione e torto (come nella guerra ucraina, ma qui con maggiore
evidenza), non si dividono mai di netto: sarà l’esito del conflitto a stabilire
chi ha ragione, ma non è detto che la ragione spetti sempre al vincitore. Per
intanto occorre fermarsi a considerare le reazioni in campo internazionale, con
l’occidente tutto schierato a favore di Israele (non così l’opinione pubblica
degli occidentali, numerose essendo le manifestazioni in favore dei
palestinesi) mentre l’Iran e gli Emirati sembrano orientati a favore di Hassam.
Non sono cessati i tentativi di mettere pace. Il Ministro degli esteri russo ha
dichiarato inaccettabile l’attacco di Hamas, inaccettabile la reazione
israeliana, inaccettabile la morte di civili, vecchi, donne e bambini: belle
parole, sulle quali potremmo essere tutti di accordo, ma, allo stato delle
cose, non sembrano preludere a un cessate il fuoco e a favorire una trattativa.
Il conflitto è appena agli inizi. La controffensiva israeliana non si è ancora
compiuta. È difficile fare previsioni. Che cosa succederà dopo l’attacco di
Hammas? Che cosa dopo la controffensiva israeliana? Una guerra, e non c’è
dubbio che siamo di fronte a una guerra, può finire in due modi: con la resa di
una delle parti oppure con un accordo di pace. L’accordo si presenta allo stato
assai difficile da realizzare. Ciò nonostante deve essere tentato. E però la
comunità internazionale deve ammettere con la stessa fermezza con la quale,
giustamente, condanna le uccisioni di innocenti da parte di Hamas, che una
nazione che crea, ammette e perpetua ciò che accade nella Striscia di Gaza, una
vera e propria apartheid (con la prospettiva di un genocidio dei
palestinesi), non può essere considerata
compiutamente democratica. Per lo meno, “è una democrazia agonizzante”. E noi
vogliamo che Israele diventi una democrazia compiuta. Un accordo di pace,
fondato sul riconoscimento dei propri torti, potrebbe essere il primo passo per
Israele verso una democrazia compiuta. Ma potrebbe anche essere per i
palestinesi un primo passo verso l’abbandono di ogni violenza. Sarebbe un primo
passo anche per noi per stare in pace con le nostre coscienze.
1) L’ultima analogia nasce (per ora)
dalle dichiarazioni di Biden, Presidente degli Stati Uniti. Per il primo
conflitto (Russia vs Ucraina) Biden ha assicurato il suo appoggio all’Ucraina
“fino a che sarà necessario”: il che vuol dire “fino alla resa di Putin”. Per
il secondo (Hamas vs Israele) Biden ha ribadito il suo “incrollabile sostegno”
allo Stato di Israele: il che vuol dire: “fino alla resa di Hamas. È inutile aggiungere che, a seguire Biden, è
tutto l’Occidente: nel primo caso contro la Russia; nel secondo pure, tutto
l’Occidente contro Hamas in favore di Israele. Sia l’Ucraina che Israele sono
nati con la benedizione degli USA: il che spiega le assicurazioni di Biden
all’uno e all’altro Paese.
(Michele Di Lieto)