Ecco la recensione che
la Professoressa Luciana Capo ha
scritto in occasione della presentazione della raccolta “Sulla battigia – Canto
Lungo” di Antonio Cervelli, Edizioni “L’ArgoLibro”, presso Villa Sgrò ad Agropoli
lo scorso sabato 17 agosto.
Grazie ancora di cuore a
tutti gli intervenuti!
Il
linguaggio che meglio rivela la natura della produzione di Antonio Cervelli,
già professore di Latino e Greco presso il prestigioso Liceo “Umberto I” di
Napoli, e che più di ogni altro
sconfessa la concezione tradizionale del linguaggio come semplice segno, è la
Poesia.
Heidegger
osserva che, come l’Arte è apertura di
un mondo, così il linguaggio poetico non è segno che rinvia a qualcosa che
è già dato, ma è il luogo in cui
l’Essere si dà.
La
parola poetica è un cominciamento assoluto, è l’aprirsi di un mondo, in cui
qualcosa di nuovo viene all’Essere come “aureo albero delle Grazie”, come “nuda
sofferenza dell’uomo! Colui che ha lottato con gli angeli”.
Scrive
Heidegger: “Aperto significa qualcosa che non sbarra chiudendo; qualcosa che
non limita perché è privo di ogni
limite. L’aperto è il grande insieme, il tutto di ciò che è senza limiti.”
(“Sentieri interrotti”).
Il
filosofo propone l’esercizio Ermeneutico
che si trattiene presso la parola, non per esplicitarla nei sensi e nei
significati richiesti dall’epoca, ma per far venire alla luce il non- detto che
nella parola risuona e che ne costituisce la forza.
Questa
Ermeneutica non spiega la parola, l’ascolta. L’espressione Ermeneutico deriva
dal verbo greco hermeneùein. Questo
si collega col sostantivo hermeneùs,
che si può connettere col nome del dio Ermês
in un gioco del pensiero che è più
vincolante del rigore della scienza. Ermês è il messaggero degli dei: reca il
messaggio del destino. Hermeneùein,
pertanto, è quell’esporre che reca un annuncio in quanto è in grado di
ascoltare un messaggio.
La
colpa originaria della libertà nascente è a un tempo la colpa della violenza divina.
Alla violenza dell’uomo, che si erge nella sfida, si accompagna quella
dell’Essere che si esprime nell’abbandono dell’uomo.
Realizzandosi
nella liberazione dell’Essere (Adamo) o nel suo dominio (Prometeo), l’uomo si
rende colpevole perché capovolge quel rapporto metafisico originario che
prevede l’Essere come dominante e l’uomo
come custode di questo dominio.
Di
questo capovolgimento ha coscienza la tragedia greca che con Sofocle giunge a
dire: “Molte sono le cose inquietanti (Deinà) ma nessuna più dell’uomo
(Deinòteros) (Antigone).
Le
poesie di Antonio Cervelli hanno un potere senza tempo e si segnano negli occhi
come una inquadratura perenne dove bellezza e ordine parlano in una visione
verticale del mondo.
Il
suo pensiero è libero, non corrotto dall’emotività o esaltato dall’entusiasmo.
Questa poesia colta gioca con il mondo, rompe la trama perché si sottrae al
principio di Individuazione, la coscienza si fa assoluta e diventa volontà di
vita.
In
un tempo di carenza, come il nostro, in cui la vastità degli orizzonti
raggiunti dalla scienza ha finito per devastare l’animo dell’uomo e la grande
lezione della poesia di Antonio Cervelli non è quella di sollecitare l’orgoglio del pensiero nella
successione frenetica delle risposte, ma quella di custodire il pensiero nella
sua essenzialità, raccolta in quel domandare che sa attendere non una risposta
ma un ampliamento dell’orizzonte: un chiamare i mortali e i divini, la terra e
il cielo.
Di
questo dire sono capaci i poeti che ascoltano la parola, il dialogo e con esso
si apre “l’aperto” e si parla del “Sacro”.
La
poesia di Antonio è Via e Smarrimento…, luce indomita e graffiante sui rapporti
interpersonali e sull’immagine di sé.
È
un iter, quello dello scrittore, verso la conoscenza dell’anima dove echi,
suoni, ricordi diventano la voce delle emozioni più intense e pure.
È
l’amore per la moglie Lucia, canto immortale dedicato a lei, è il tempo
avvolgente, stretto tra memoria e oblio.
Si
avverte il culto di un’ascesa spirituale che è l’essenza della vita avvolta
nella forza fascinatrice e tirannica del suo segreto, sempre indagato, dove
anche il dolore è libero e dove , in ogni verso, si cela il battito dell’amore.
È
il suo un Amore senza rive.
Lo
scrittore colpisce perché, come tutti i grandi scrittori, dice le sue preziose verità e riesce a
bilanciare pulsioni narrative anche inconciliabili, in apologhi crudeli e
meravigliosi.
Il
tempo che si percepisce è il vero Tempo Perduto, il tempo delle grandi
solitudini e delle domande infinite, delle parole che segnano una vita.
Prometeo
si rese colpevole perché portò coscienza e sapere agli uomini abbandonati, che
Zeus voleva mandare in rovina.
Antonio
Cervelli ha trovato il senso della propria origine nella ribellione di Prometeo
che, anche se incatenato alla roccia, non viene meno a se stesso, ma è capace
di una voce d’accusa, la rivendicazione del sapere, che fa dell’uomo, un uomo e
che gli offre tutte le possibilità connesse al suo futuro.
E
le tante figure poste sotto la lente d’ingrandimento di un grande scrittore
sono colpevoli di voler credere nella vita e consapevoli del libero arbitrio.
Il
quadro di Masaccio, nella Cappella Brancacci a Santa Maria del Carmine a
Firenze del 1426, esprime l’angoscia di
Adamo ed Eva che si apprestano a lasciare il Paradiso, e non è un’esperienza
individualistica. Nei volti e nelle figure è catturata l’idea di sé e del
tormento e diventa simbolo universale di fallibilità e fragilità.
“Sulla
battigia” è un’opera letteraria coltissima, sontuosa, umana. Forse con essa
abbiamo conosciuto l’Assoluto.
Il
filosofo Bauman parla di un mondo invulnerabile perché esaltato da chiamate e
messaggi dove le emozioni sono soffuse, forse da un’idea di seduzione e
desiderio. Ma l’uomo non può liberarsi di se stesso e della sua vita piena di
significato e deve conservare la sua
vibrante agorà spirituale.
Hegel
ci dice che la nottola di Minerva, dea della sapienza, distende le ali al
crepuscolo; la conoscenza giunge alla
fine del giorno, e Sofocle aveva fatto della chiarezza della visione il
monopolio del cieco Tiresia, e Heidegger aveva parlato di una buona
illuminazione che è autentica cecità; non si può vedere quello che è fin troppo
visibile.
“Sulla
battigia” è un’opera di scavo psicologico, dove ci mettiamo in posizione
conoscitiva e dove possiamo trasformare le nostre lacrime in conoscenza.
Oltre
non si può andare perché, come dice Claude Sulzer, ogni opera letteraria
contiene un segreto che deve essere custodito ma anche violato e i due impulsi
sono contraddittori , ma mirabilmente intrecciati.
È
il segreto del Rituale che ha la sua forza immortale.
Nelle
poesie di Antonio Cervelli c’è una sola verità, la stessa che si legge nei
Misteri Eleusini: l’insondabile, incantevole, profondo mistero dell’Essere in
un Canto Lungo.
Luciana Capo
Dr.ssa
in Filosofia e saggista