Qualche giorno fa, in
occasione del cinquantesimo anniversario del rogo di Primavalle, nel quale
persero la vita i fratelli Virgilio e Stefano Mattei, figli di Mario Mattei,
segretario della locale sezione del MSI, in seguito all’incendio appiccato alla
loro casa, da Rossi, di Potere operaio. Erano presenti: Maurizio Gasparri, Vice
Presidente del Senato, Fabio Rampelli, Vice Presidente della Camera, il
Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, Il presidente della Regione Lazio,
Francesco Rocca, l’Assessore alla cultura di Roma capitale, Miguel Gotor.
Tutti hanno parlato del rogo
di Primavalle come di una pagina scura, che ha fatto due poveri morti, e sulla
quale non è stata fatta piena giustizia. Non era presente il Presidente del
Consiglio, Giorgia Meloni, reduce da un viaggio in Africa, e tuttavia ha
inviato un lungo messaggio, ha parlato di pagina buia della storia d’Italia, e
ha ribadito la necessità di tenere viva la memoria di quanto accaduto, per “condurre
il nostro popolo a una piena pacificazione nazionale”, soprattutto oggi che la
destra governa il paese.
Ho appena accennato al
viaggio di Giorgia Meloni in Africa, dove è stata ricevuta dal Capo di Stato
etiope, ha avuto la possibilità di incontrare il Capo di Stato somalo, e si è
detta soddisfatta dei risultati ottenuti in un paese, l’Etiopia, con il quale l’Italia
vanta “storiche relazioni” che vanno rafforzate. Alla fine, e con eguale
impegno, debbo qui ricordare che fra pochi giorni, il 25 aprile, sarà celebrata
la Festa della Liberazione (che ricorda la liberazione del nostro paese dall’occupazione
nazifascista): liberazione che fu sì una festa di popolo, ma coincise con un
momento drammatico della nostra storia: la resa dei conti col fascismo e coi
fascisti chiamati a rispondere di vent’anni di regime.
Per questo, la Festa del 25
aprile è una festa antifascista, simbolo essa stessa della liberazione dalla
dittatura. Ancora non si sa se e quali membri del Governo, che è, conviene
ripetere, un governo di destra, parteciperanno alle manifestazioni. Giorgia
Meloni ha assicurato una partecipazione a metà: si recherà all’Altare della
Patria, non interverrà ad altra cerimonia commemorativa.
A questo punto il lettore
avrà anche scoperto il filo rosso che lega gli eventi sopra ricordati, e darà a
me l’occasione per rispondere al quesito: ma cos’è questo governo di Giorgia
Meloni? Un governo di destra lo è certamente. FDI, il partito maggiore della
coalizione che ha vinto le ultime elezioni politiche, raccoglie voti e idee
tipicamente di destra: a partire dal presidenzialismo per finire alla
abolizione del reddito di cittadinanza, o a quella del bonus 110% per l’ammodernamento
energetico delle case: tanto che alcuni hanno visto nel governo Meloni “il
governo più a destra dai tempi di Mussolini”.
Ma allora si può parlare di
governo fascista? So già la risposta al quesito, sempre la stessa. Che il
fascismo è un fenomeno storico superato, non suscettibile di riproduzione. Si può allora parlare di un governo
post-fascista, che affonda le sue radici nel MSI, di cui FDI riproduce
parzialmente il simbolo? Qui la risposta è meno agevole. FDI sembra raccogliere
consensi non solo tra i simpatizzanti del MSI ma di tutta la destra, a partire
dalla Lega nella quale pure ha pescato il partito della Meloni e finire alla
destra estrema di Casa Pound.
Il fatto è che la Repubblica
italiana che abbiamo conosciuto è una Repubblica fondata sulla Costituzione: e
la Costituzione, nata dalle ceneri del fascismo, è una costituzione
antifascista. È questo il termine che Giorgia Meloni non ha pronunciato e forse
mai pronuncerà. Hai un bel dire che il governo di destra, il tuo governo, si
propone di “condurre il popolo a una pacificazione nazionale” (il che vuol
dire, se ho ben capito, accettare quel che di buono c’è nell’una e nell’altra
ideologia) se poi ti rifiuti persino di pronunciare il termine: antifascista, e
rendi manifesta l’intenzione di modificare la storia, di sostituirla, senza
pensare che la storia è fatta dai vincitori, non dai vinti e, pur con le riserve
suscitate dai movimenti politici in uno Stato dilaniato da una guerra civile, occupato
a sud dagli americani, a nord dai tedeschi e dai fascisti), vincitori sono
stati i primi, non gli altri.
Ma come si fa a parlare di
“storiche” relazioni con lo Stato etiopico, senza citare neppure l’invasione del
paese voluta da Mussolini nel folle disegno di creare un impero coloniale del
quale non avevamo bisogno se non per realizzare le aspirazioni del Capo? E come
non ricordare che di questo folle disegno faceva parte un regime di apartheid
tra bianchi e neri, in omaggio a un odio di razza che non è mai stato condiviso
dal popolo italiano? Come non opporsi, sia pure nella memoria storica, a queste
farneticazioni del Duce? Occorre adesso precisare che io non sono contrario per
principio al governo di destra e a Giorgia Meloni. Io non ho votato Giorgia
Meloni.
Confesso di essere stato
tentato di fronte allo sfascio creato dalla sinistra (e dai governi di centro sinistra).
Alla fine mi sono arreso: non sono andato a votare, mi sono unito al coro di
chi, avendo votato sempre a sinistra, non trovando un partito che lo
rappresentasse, è andato a ingrossare la fila degli astenuti, arrivata ai
livelli più alti mai raggiunti nelle elezioni politiche.
Mi illudevo che un governo di
destra, e Giorgia Meloni, rinunciassero alla politica revanchista di ritorno al
passato, che era stato motivo non ultimo degli insuccessi elettorali della
destra: volevo insomma mettere alla prova anche la coalizione di centro destra,
che governava in molte regioni d’Italia e veniva considerata nei sondaggi
predestinata a vincere.
Le prime avvisaglie non fanno
bene sperare. Non si può cambiare il giudizio storico sul fascismo, né
inseguire un modello che molto gli somiglia e può rappresentare il primo passo
verso un governo dittatoriale. Per questo, sono contrario al presidenzialismo.
Per questo sono contrario alla deriva
verso forme di presidenzialismo di cui è stato protagonista Mario
Draghi, e potrebbe essere protagonista Giorgia Meloni.
Se a questo si aggiunge la
massiccia presenza delle forze di destra a una manifestazione considerata di
destra, contrapposta alle incertezze sulla presenza delle stesse forze alla
festa del 25 aprile, questo vuol dire che il governo Meloni non riconosce
neppure la Costituzione, come finisce per ammettere Ignazio La Russa,
Presidente del Senato, quando sostiene che nella costituzione non c’è il
termine antifascismo, saltando a piè pari la disposizione transitoria che vieta la
riorganizzazione in qualsiasi forma del partito fascista.
Per concludere. Non ci si può
opporre alla Costituzione, non ci si può estraniare da feste simbolo della
Repubblica nata con la Costituzione. Se la Costituzione sente per qualche verso
il peso degli anni, la si cambi, ma non nei punti fondamentali. Insomma: non si
può cambiare la Festa della liberazione (dal nazifascismo) nella festa in
memoria di tutti i caduti di tutte le guerre. Né si può organizzare una festa
il 25 aprile altrove. Per chi e per come? Né si può anticipare o posticipare
una festa nata dalla Costituzione, una festa di tutti coloro che sulla
Costituzione hanno giurato vivendo Costituzione alla mano. Mi ci metto anch’io. Vorrei che a me si
unissero tutti coloro che non sono stati dalla stessa parte.
Michele
Di Lieto
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