Ecco la recensione del Professor Donato Romano, tra i curatori e i relatori della presentazione del romanzo "La casa sul poggio" (Edizioni L'ArgoLibro) di Michele Di Lieto, che si è tenuta sabato scorso presso il Liceo Statale "Alfonso Gatto" - Sezione classico di Agropoli.
Qui trovate la pagina on line dedicata al romanzo.
La prima
parte del romanzo La casa sul poggio
di Michele di Lieto, che si chiude con la frase dell’avvocato de Bonis (“Non
c’è giustizia per i poveri cristi”), costituisce il filo d'Arianna che consente
al lettore di ripercorrere e interpretare una storia, quella della famiglia
Ognissanti, che attraversa quattro secoli (dal XVII al XX sec.) e che,
vichianamente, si ripete inesorabile e immodificabile. Cambiano le epoche, i
contesti, ma i protagonisti delle vicende narrate sembrano condividere la
medesima triste sorte. Quasi perseguitati da un destino avverso, Gesualdo,
Tarsio, Carlo e Antonino lottano per ottenere giustizia, per affermare i loro
diritti o per un’idea di giustizia ed equità sociale, ma soccombono di fronte
ad una sorte di eterogenesi dei fini
che rende vano ogni sforzo, ogni sacrificio, ogni lotta.
Il libro di Michele di
Lieto (è stato detto e scritto da più parti ma non mi trova pienamente
d'accordo) è un romanzo storico, un misto di storia e di invenzione: esso,
infatti, narra le vicende (immaginate) di una famiglia che fuggendo da Napoli a
causa della peste del 1656 si ritrova “gettata”, suo malgrado a seguito del
naufragio della Porta celeste, sul litorale pestano. Da questi lidi, giungono
nel Cilento, a Cicerale prima, a Spinazze (luogo inventato) poi, dove, nel
1671, iniziano a costruire la casa sul poggio, una casa contadina ben diversa
dalle case "palazziate" dei ricchi, "non necessariamente
nobili".
Queste vicende inventate sono ambientate in epoche storiche precise,
ricostruite fedelmente dall’autore nelle caratteristiche sociali e culturali.
Accanto a personaggi storici realmente esistiti (dai protagonisti della
rivoluzione del 1799 Domenico Cirillo, Eleonora Pimentel Fonseca, Mario Pagano,
all’anarchico regicida Gaetano Bresci, solo per citarne alcuni), che si
configurano per lo più come personaggi secondari, si muovono e agiscono
personaggi inventati, ma verosimili, nel senso che riflettono nel loro modo di
pensare e di comportarsi la realtà storica e sociale delle epoche in cui è
ambientato il romanzo. Nel romanzo di Michele di Lieto manca tuttavia, a
differenza del romanzo storico, la presenza di personaggi collettivi: scene
“corali” che hanno per protagonista non più il singolo personaggio, ma la
folla, il popolo, gruppi di persone, raffigurati in atteggiamenti o
comportamenti di partecipazione nei confronti degli eventi politici e sociali
del loro tempo. Il testo è spesso caratterizzato da ampie descrizioni di
paesaggi che hanno la funzione di “incorniciare” l’azione e da minuziose,
dettagliate descrizioni che servono a caratterizzare meglio i personaggi, o a
farci comprendere anche aspetti tecnici della pratica giuridica. La narrazione
è coinvolgente ed originale. Spesso l’autore si muove avanti e indietro nel
tempo con digressioni e attualizzazioni quasi a voler rafforzare l'idea che il
presente è figlio del passato e padre del futuro.
Un vissuto del tempo in cui
nel presente si riflettono sia il passato personale e storico-collettivo, sia
il futuro con i suoi sogni e le sue speranze progettuali.
La casa sul poggio è anche un romanzo
d’amore, che unisce come una forza cosmica i protagonisti e li tiene vivi anche
nei momenti peggiori. Ogni epoca ha la sua coppia: Gesualdo e Tina, Tarsio e
Maria Luisa, Carlo e Gena, Antonio e Nenna, Antonino e Marta.
È un romanzo che
presenta anche figure femminili forti, non accessorie, come Maria Luisa de
Litteris, compagna del massone Tarsio, donna colta, cosmopolita, “educata alla
francese”; come Nenna, donna forte, tanto decisa al punto da sembrare alle
invidiose vicine "quasi un maschio". Nenna si carica del peso della
famiglia, affitta un fondo di erbacce e spine e nel giro di pochi anni ne fa un
giardino con piante di ulivo, orto, alberi da frutta.
L’immagine
che chiude la quarta parte, la casa sul poggio non ancora ultimata nel 1998,
diventa il simbolo di un itinerario fenomenologico che non giunge mai a
compimento. Manca sempre qualcosa, un passaggio, un’autorizzazione, o
semplicemente un pizzico di buona sorte.
Nessuna delle vicende raccontate nelle
quattro parti si conclude positivamente. La morte dei protagonisti infine
contribuisce a rafforzare quel senso di precarietà e di incompiutezza che
attraversano tutto il libro. In questo testo non c’è un rovesciamento dialettico
e questo conduce inesorabilmente ad un pessimismo che, a mio avviso, lascia
poche speranze: i vinti restano tali in ogni epoca, gli Ognissanti non saranno
mai i Vanacore (arroganti, opportunisti, corrotti, cinici…), ma di fatto non
cambieranno mai il proprio destino anche senza necessariamente snaturarsi. I
vinti non diventeranno mai i vincitori. Nonostante le trasformazioni politiche,
istituzionali, economiche, culturali, per la famiglia Ognissanti il mondo è
sempre stato e sempre sarà “ad un medesimo modo” come scrive Machiavelli nel II
libro dei Discorsi.
Gli Ognissanti,
metafora dei vinti di ogni tempo, subiranno sempre le angherie e i soprusi dei
potenti. In conclusione, per l'Autore, "non c’è mai stata né mai ci sarà
giustizia per i poveri cristi". È questo il senso di un romanzo che vuole
essere una denuncia dei mali della società di ogni tempo e di una giustizia
discendente che, prevaricando i diritti naturali dei singoli diviene, come
direbbe Trasimaco di Calcedonia "l'utile del più forte", mero strumento
di potere.
Professor Donato Romano
Nessun commento:
Posta un commento